Me ne frego?

Col menefreghismo ho un rapporto conflittuale e per certi versi ambiguo.
Di primo acchito, tale termine mi richiama alla mente il fascistissimo “Me ne frego!”, e perciò mi risulta insopportabile quanto l’ideologia che l’ha partorito. Il fatto poi che quell’atteggiamento possa essere il chiaro sintomo di limitatezza culturale, se non addirittura neuronale, mi conduce inevitabilmente a provare una sorta di repulsione nei suoi confronti, una presa di distanza che non sempre riesce essere mitigata dalla compassione. Vi confesso che talvolta capita che tenti di colmare quella distanza, discutendo dell’origine, dei dettagli, delle mistificazioni, dei meccanismi, degli aspetti nascosti di fatti, eventi, decisioni che l’interlocutore prende sottogamba in maniera così deleteria, ma non sempre riesco a liberarmi dalla sensazione di parlare per il sottile piacere di ascoltarmi, di saper contraddire, di condurre un dialogo dall’alto in basso, e ciò potrebbe rendere insincera ogni mia buona intenzione.
Sul versante opposto di questa scrupolosità fa da contraltare la mia innata pigrizia, un larvato oblomovismo che sempre s’è mezzo in mezzo alle migliori intenzioni. Non di rado ho lasciato dei lavori a metà, o ancora peggio in vista del traguardo, oppure è successo che abbia perso interesse in attività che promettevano bene, un atteggiamento che potrebbe costituire l’indizio rivelatore di un pervasivo senso di inadeguatezza, anche quando quest’ultimo è smentito dai fatti. Insomma, per farla breve, non è che me ne freghi di come vanno le cose, però ogni tanto lascio che scorrano lontano dal mio punto d’osservazione senza provare troppi rimorsi.
Forse chi ha studiato psicologia potrebbe confermare che si tratta di una situazione non inusuale, una dicotomia che ci porta a manifestare talvolta dei comportamenti illogici o imprevedibili, però sarei curioso di sapere quanto pesa in me l’irritazione rispetto all’accettazione, anche se di menefreghisti ne ho incontrati fin troppi finora, tanto da potermi consolare con la convinzione (forse illusoria) che “io non sono così”.
Sul lavoro era una lotta continua, ma non perché fossi uno stacanovista e perciò inviso ai colleghi, bensì per la mia curiosità e la tendenza a considerare con occhio critico e possibilista le problematiche tecniche che incontravo, il che era fonte di disturbo per chi, seppur competente e solerte, non amava uscire troppo dal seminato e si accontentava di soluzioni abbastanza convenzionali e già percorse da altri. Ricordo bene che tutti temevano che pronunciassi una specifica parola in grado di mettere in crisi tutto un castello di ragionamenti. Era “perché?”.
Nove volte su dieci la risposta era invariabilmente “s’è sempre fatto così”, e perdonatemi se considero un tale atteggiamento come una forma di menefreghismo, al quale opponevo una stolida testardaggine per dimostrare che quanto era stato fatto quadrato fino a quel momento si poteva fare anche tondo. Oddio, non andava sempre bene, non sono un genio, ma quelle poche volte che riuscivo a ottenere il risultato sperato le cose cambiavano radicalmente. Vi confesso che non ero troppo amato, sia per il fatto di essere un rompiscatole, un perturbatore, e sia perché capitava che avessi malamente ragione, e allora i renitenti dovevano scendere a Canossa. In quegli anni vivevo di Maalox e covavo quella che sarebbe diventata una bella ipertensione essenziale, però di tacche ne ho incise sul calcio della mia Colt…
Purtroppo il menefreghismo non conosce confini, e presto ne ebbi conferma quando mi trovai a dover risolvere dei problemi anche fuori dallo posto di lavoro.
Attenzione, non mi sto riferendo al pessimo servizio che usano svolgere taluni punti vendita della mia zona, affollati di personale incompetente, apatico, abulico, disinformato e pure presuntuoso, poiché di quelle anime perse ho già scritto in vari post (es. “La zeritudine“), bensì tiro in ballo alcuni servizi tecnici di base.
Appena mi sistemai nell’abitazione dove ancora abito, notai che la fornitura di energia elettrica presentava alcuni problemi. Immagino che grossomodo si sappia che la tensione di alimentazione nominale nel nostro paese è di 220V, con una frequenza di 50Hz (dicasi corrente alternata). Ovviamente sono accettabili del piccoli scostamenti dal valore nominale, ma nel mio caso quella che mi arrivava era una corrente veramente alternata, nel senso che la tensione aveva degli sbalzi ripetuti anche di una quarantina di Volt (in meno, ovviamente). Tale fluttuazione si palesava bene di sera quando le lampadine variavano continuamente la luminosità, e se qualcuno in paese accendeva un utensile elettrico di una certa potenza l’effetto era quasi stroboscopico. Risolsi gran parte dei miei problemi installando un autotrasformatore in grado di mantenere abbastanza costante il valore di tensione, ma, non essendo un menefreghista, andai un po’ in giro a vedere come se la cavavano i vicini, in quanto poteva benissimo darsi che quelle fluttuazioni riguardassero solo qualche singola abitazione. Risposta generale: nessun problema.
Mi spiego, i problemi c’erano eccome, ma venivano considerati “normali”, come se passare dalla penombra alla luce accecante, e poi di nuovo alla penombra, e poi ancora e ancora, fosse una faccenda per la quale non valeva la pena mettersi a questionare col fornitore. E pazienza se gli elettrodomestici, costretti ad assorbire più corrente per supplire alla tensione troppo bassa, si guastavano più spesso di quanto sarebbe stato normale, ne avrebbero acquistati di nuovi, tanto i negozi son lì per quello, no? (menefreghismo fa rima con autolesionismo)
La misura era colma. Mi procurai un’attrezzatura adeguata e registrai i valori di tensione nell’arco di ventiquattro ore, dopodiché, forte dei dati rilevati, pretesi di essere contattato da un tecnico Enel, il quale, presentatosi qualche giorno dopo, nemmeno si preoccupò di verificare la tensione di alimentazione, ma fu più che sufficiente osservare l’effetto “discoteca” delle luci di casa mia (ovviamente con autotrasformatore staccato) per chiamare subito la sede e programmare un intervento radicale e risolutivo sulla linea.
Se fossi stato anch’io un menefreghista (per riguardo, per pigrizia, per noncuranza) oggi saremmo ancora nella situazione di allora, io con l’autotrasformatore, e gli altri… beh, affari loro.
Embè, mi chiederete, perché tiri fuori oggi quella vecchia storia? Perché è successo di nuovo, e il menefreghismo ha colpito ancora.
Qualche settimana fa una ditta s’era messa a trafficare con dei cavi in strada, e dopo una breve indagine scoprii che si trattava di lavori per l’installazione della fibra ottica. Essendo impossibile qui lo scavo di una trincea per la posa della fibra, avevano scelto di portarla sospesa utilizzando i pali preesistenti per l’energia elettrica e l’illuminazione stradale. Dopo qualche giornata di lavoro sono spariti, lasciando a bordo strada i rotoli di fibra da connettere. Non che abbia premura, questo sia chiaro, comunque non mi pare il segnale di un’ottimale organizzazione del lavoro, ma si vede che le cose devono andare così, a balzelloni.
A questo punto urge una breve premessa, ovvero che da fine luglio non sono più al 100%, in quanto sono parzialmente bloccato da una fastidiosa ernia inguinale. Tale fatto personale non ha niente a che vedere con gli aspetti tecnici della fibra, però è stato in qualche maniera complice nel farmi scoprire quale allarmante livello può raggiungere il menefreghismo.
Andiamo avanti.
Il fatto di non dovermi sforzare mi ha impedito di eseguire con cura le mansioni di pensionato che rompe gli zebedei ai lavoratori, cioè mi sono limitato a osservare quanto stava accadendo davanti alle mie finestre. Se fossi stato in piena forma avrei buttato un’occhiata su cosa stavano combinando, e di sicuro non avrei mancato di sollevare in tempo reale alcune giustificate critiche sul loro operato. Sfortunatamente, a causa del mio problemino, dovevo limitare i miei spostamenti a piedi, perciò ero costretto a utilizzare di più l’automobile, e lungo la strada riuscivo a notare solamente quelle bobine di fibra ottica. Fu in occasione di una breve passeggiata in una giornata eccezionalmente mite che notai il “fattaccio”, una situazione talmente inusitata che non troverebbe posto nemmeno negli elenchi delle peggiori schifezze. Confesso che ci misi un po’ per convincermi che il mio non era un abbaglio, un’interpretazione errata, un inganno della vista.
Descrizione del contesto.
Dall’armadietto telefonico a bordo strada (chiostrina) si dipartivano i due cavi telefonici multicoppia dedicati a una parte della frazione, ma i cavi non erano più fissati sui pali come prima dell’intervento di quella ditta, ma erano buttati sull’erba, per poi proseguire sul manto stradale, attraversare il torrente come un ponte sospeso tibetano, appoggiarsi sugli alberi della riva opposta e sparire tra le foglie.

Il menefreghismo di quegli operatori che avevano staccato per i loro comodi i cavi in rame è patente, e lo rende ancor più grave il fatto che se n’erano sono andati senza nemmeno tentare una risistemazione aerea provvisoria. Se fossi stato presente avrebbero saputo quanto corrosive possano essere le mie osservazioni, e magari avrebbero pure imparato a lavorare meglio, Di sicuro avrei evitato quello scempio.
Però la mia ira funesta non è rivolta verso quei tecnici maldestri e negligenti, bensì verso i menefreghisti al cubo, tutte le persone che hanno notato ben prima di me quella situazione inaccettabile e che se ne sono altamente fregati. Se avete buttato un’occhiata all’immagine che ho allegato sopra avrete notato subito che c’è qualcosa che non va, quei cavi buttati per terra sui quali ci passano sopra le automobili che lì vengono parcheggiate. Non potevo credere che per settimane la faccenda fosse passata inosservata, e che nessuno si fosse preso la briga di informarsi, di chiedere lumi, di avvisare chi di dovere, ma quando telefonai al servizio guasti di Telecom ebbi la conferma di quella sconcertante eventualità.
Il tecnico col quale mi trovai a parlare mi chiese quale guasto stavo segnalando, e restò interdetto quando risposi che non c’era nessun guasto da riparare, ma che però ci sarebbe stato in futuro. Superata la sua impressione che fossi un visionario o un perditempo e acclarate le mie competenze tecniche in ambito telefonico, gli spiegai che, permanendo quell’incresciosa situazione, prima o poi il doppino avrebbe subito dei danni, e allora sì che ci sarebbe stato qualcosa alla quale mettere una pezza con urgenza. Il tecnico ascoltò con pazienza quanto andavo descrivendo, senza però riuscire a mascherare la sua incredulità, chiedendomi a più riprese se fossi sicuro che quelli fossero cavi telefonici, al che dovetti precisare con una punta di sarcasmo che conoscevo bene la differenza tra un cavo multicoppia e uno per stendere i panni. Dopo più di qualche minuto di tira e molla si convinse a effettuare un sopralluogo, ringraziai e mi posi in attesa della conferma dell’ispezione.
Non ci su nessuna conferma, bensì arrivò già nel pomeriggio un mezzo con piattaforma elevatrice. Evidentemente la mia segnalazione non era priva di fondamento, e nemmeno la risistemazione era procrastinabile. Ricontattato telefonicamente quel tecnico, lo ringraziai per il pronto ed efficace intervento, e quello mi confessò che mai gli era capitato di vedere un tale obbrobrio, ed era per quel motivo che inizialmente stentò a credermi.
Resta il rammarico di sapermi circondato da emeriti menefreghisti, persone che non vedono nulla al di là dello schermo dello smartphone o del parabrezza dell’automobile.
Purtroppo non è questa bagatella a preoccuparmi, in fin dei conti non era niente di che, uno scampato guasto risolto in una mezza giornata, bensì la mentalità egoista e meschina che prende forma visibile nel menefreghismo, non come una cartina tornasole, bensì come la punta di un iceberg ben più esteso e pericoloso, di una massa inerte sprofondata nel mare oscuro dell’ignoranza, di quel  morbo contagioso che ci rende ciechi e sordi di fronte alla violenza, all’iniquità, all’ipocrisia, che cancella o travisa la memoria storica, che deforma ogni cosa in funzione del nostro particolare interesse, che ci allontana dalla partecipazione democratica, facendola percepire come un ozioso impiccio invece della linfa vitale per ogni forma di convivenza sociale, e che ci porterà negli abissi dove solo pochi privilegiati si salveranno a spese di coloro che oggi se ne fregano.   

Mala tempora currunt sed peiora parantur.

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