Ma perché?
Perché bisogna sempre fare tanta fatica per trovare della componentistica decente?
M’ero messo in testa di risvegliare un impianto Hi-Fi d’una trentina d’anni fa, da tempo in stato di malinconico inutilizzo. Non si trattava di attrezzature particolarmente ricercate, e nemmeno il marchio, Kenwood, poteva essere annoverato tra i più blasonati, però manteneva un suo appeal grazie al design integrato dei vari elementi e al fatto che non era “Made in China”.
Dopo una pulizia accurata e la verifica di funzionamento dell’impianto, era d’uopo trovargli una degna sistemazione, e grazie a una rapida ricerca su un sito web di compra-vendite trovai una persona che voleva giusto disfarsi di un mobiletto delle dimensioni e del colore adeguati.
Bene.
Tutto bene allora?
No.
Invece dei soliti rettangolini di feltro sul fondo, m’era presa la voglia di montare quattro pratiche rotelle girevoli. Nella mia fantasia malata sognavo quattro rotelle sferiche in gomma, non troppo grandi che fanno carrello elevatore, ma nemmeno tanto piccole da bloccarsi dopo i primi dieci centimetri di percorrenza.
Arriviamo così alla prima visita di un grande punto vendita, uno di quelli che trattano materiali e componentistica per il bricolage, l’arredamento, il giardinaggio, l’illuminazione, eccetera. Il nome non ha importanza, tanto ormai so per esperienza che si somigliano tutti, e tutti m’hanno quasi sempre deluso.
Dopo qualche minuto di vagabondaggio tra le scaffalature, scovai finalmente la zona che faceva al caso mio, e lì trovai nel modo più evidente la conferma che i miei non sono pregiudizi bensì fatti concreti. Di rotelle ce n’erano, ah se ce n’erano, ma quasi tutte in plastica dura, e quelle in gomma avevano delle dimensioni che definire esagerate per quel mobiletto sarebbe dire poco. Però, cerca che ti cerca, alla fine vidi proprio quelle che facevano al caso mio, sferiche, in gomma, diametro tre centimetri, su piastrina girevole. Costavano parecchio, però già il fatto che il mio malevolo pregiudizio sarebbe stato smentito valeva il pegno da pagare. Aperto il cassetto relativo, feci per prendere quattro pezzi, ma la mia mano si chiuse sull’aria. Lo scomparto era desolatamente vuoto. Porc…
M’astenni dal chiedere a un commesso del centro, ammesso di riuscire a trovarlo, quando sarebbero state disponibili, giacché conoscevo già la risposta: sono in arrivo.
Prima d’andarmene lanciai un’occhiata d’odio a quell’esposizione virtuale, o almeno lo era stata per me, quando l’occhio mi cadde su una rotella sferica praticamente identica alla precedente, ma essendo stata avvitata capovolta sull’espositore m’era sfuggita. Tornai sui miei passi e sollevai il coperchio. Lo scomparto non era vuoto, anzi era pieno fino al bordo di rotelle, tutte diverse da quella sul coperchio. Grrr…
Deluso ma non sorpreso, tornai a casa, scesi in cantina, e lì recuperai tra le mie cianfrusaglie quattro vecchie rotelle girevoli. Non erano il massimo, ma erano adeguate al carico e relativamente poco ingombranti, senza voler tenere in conto il fatto che essendo âgée si sposavano alla perfezione con ciò che sostenevano.
Poteva finire qui la triste storia?
Manco per sogno.
Posizionato il tutto in una camera, si trattava di dare energia elettrica e collegare gli altoparlanti che stavano sulle mensole.
Ogni apparecchio, giradischi, amplificatore, registratore, lettore cd, sintonizzatore e antenna amplificata ha la necessità di essere collegato alla rete elettrica. Per evitare una ragnatela di cavi elettrici e di adattatori multipli in serie (i noti trivi), la soluzione migliore è utilizzare una presa multipla, più nota come “ciabatta”, la quale andrà collegata a una singola presa a parete.
La mia intenzione era quella di fissare la presa multipla sull’armadietto, il che avrebbe permesso di evitare una serie di cavi sul pavimento, nonché la possibilità spostare tutto l’impianto (altrimenti le rotelle a che servivano?) staccando una sola spina dalla presa a parete.
Ed eccoci allora alla seconda visita di un grande punto vendita.
Reparto elettricità, cavi, canalette, frutti, avvolgicavo, adattatori… ecco, prese multiple.
Ma tu guarda, evidentemente non ero aggiornato, ero rimasto ai tempi nei quali una presa multipla poteva essere comandata o meno, bivalenti o pluristandard, bianche o nere, e invece ti trovo degli oggetti dalle fogge più strane, comunque ingombranti, con prese su uno, due, tre lati, sagomate, cubiche, con attacchi usb, colorate, trasparenti (cui prodest?), tutte con la sola certificazione CE (e qui casca l’asino).
Tanto che si sappia, quel famoso simbolo può essere apposto dopo una sorta di autocertificazione, secondo quanto richiesto dalla Direttiva bassa tensione LVD, 2014/35/UE. In buona sostanza il produttore garantisce che l’oggetto, dopo una valutazione effettuata in proprio, è conforme a tutti i requisiti pertinenti a livello dell’UE, sulla base di quanto descritto da un fascicolo tecnico che documenta la conformità, approvato il quale si può redigere e firmare una dichiarazione di conformità UE. Ora che lo sapete dovrebbe esservi chiaro quanto la marcatura CE sia relativamente facile da ottenere, ma anche così c’è chi la appone anche su prodotti che non hanno seguito nemmeno quel processo documentale, e non penso di essere troppo malizioso o prevenuto quando nutro forti sospetti di fronte a oggetti “Made in China” (o Made in PRC).
Fatto sta che una buona parte di quelle prese multipolari non m’ispiravano fiducia, un po’ per la presenza della sola marcatura CE e un po’ perché provenivano dal paese dei mandarini (e non mi sto riferendo alla Sicilia…). A onor del vero trovai anche dei componenti con la marcatura IMQ, l’unica che con l’equivalente tedesco VDE offre una garanzia di sicurezza, ma c’erano due aspetti poco rassicuranti, il primo riguardava la costruzione che palesava materiali abbastanza economici e una struttura all’apparenza poco curata, e il secondo era la presenza del nome del produttore (un grande marchio nazionale), con caratteristiche tecniche e certificazioni, il tutto però su una semplice etichetta autoadesiva, in fondo alla quale era riportato un “Made in Albania”. Mah…
Com’è ovvio lasciai tutto lì e dovetti andare a caccia di un negozio specifico, che scoprii piccolo ma ben fornito, nel quale ottenni una presa multipolare come si deve, un paio di metri cavo tripolare adeguato e un’ottima spina da 16A, tutto IMQ, e non è che mi sia costato molto di più di quanto avrei speso in quel grande punto vendita. Va da sé che tutti hanno in casa i materiali e le attrezzature, nonché le competenze per assemblare una presa multipolare degna di questo nome. Ah no?
Come ho scritto sopra, le rotelle servivano per spostare l’impianto Hi-Fi, ma, staccata la corrente elettrica, sarebbe rimasto l’impaccio dei cavi di collegamento ai diffusori acustici. Le soluzioni erano due, o utilizzare dei cavi lunghi parecchi metri, sui quali prima o poi sarebbe stato inevitabile inciampare, oppure prevedere un collegamento che si potesse staccare con facilità senza bisogno di arrampicarsi sulle mensole o armeggiare sul retro dell’amplificatore.
Scelsi questa seconda opzione, prevedendo in un punto di facile accesso due connettori RCA, dello stesso tipo di quelli che vengono utilizzati per il collegamento delle apparecchiature Hi-Fi.
In quello stesso grande punto vendita acquistai due confezioni di connettori RCA maschio-femmina. Si tratta di oggetti che conosco benissimo, avendo trafficato con con quel tipo di collegamenti fin giovane, quando l’Alta Fedeltà era un mondo elitario e autoreferenziale nel quale si buttavano cifre considerevoli per delle apparecchiature che superavano la barriera del superfluo.
Detto fatto, aprii le confezioni e realizzai il cablaggio saldato a regola d’arte dei connettori femmina. Quando passai al connettore maschio cominciaron le dolenti note a farmisi sentire. In primo luogo il foro nel quale si infila la treccia di rame era inspiegabilmente più piccolo di quello del connettore precedente, complicando le fasi di collegamento e stagnatura. Niente di insuperabile, s’intende, però fu il suo gemello a costituire un ostacolo abbastanza fastidioso e del tutto impossibile da aggirare. Infatti, appena rimossa la copertura di plastica, scoprii che la linguetta interna collegata al perno centrale era staccata, e perciò il connettore era inutilizzabile.
Per mia fortuna sono un discreto accumulatore di vecchie cianfrusaglie, e in uno scatolone conservo una matassa di cavi con i connettori più diversi, dal DIN al Jack, dal Centronix all’Ethernet, dal coccodrillo alla banana, perciò non potevano mancare nemmeno gli RCA. Ne presi uno vecchio che mi pareva abbastanza in buono stato e lo dissaldai dal cavo esistente per cablarlo con successo sul cavo nuovo. Non servirebbe aggiungere che la sua costruzione era di gran lunga più robusta rispetto a quella dei connettori appena acquistati.
Ora la domanda che mi pongo, e vi pongo, è questa: perché non esiste quasi più la libertà di scegliere un prodotto di qualità superiore o almeno accettabile? Perché le aziende trattano i consumatori come se fossero delle scimmie ammaestrate incapaci di distinguere il bello dal brutto, il buono dal cattivo, l’originale dal copiato, il durevole dall’effimero? Perché diventa sempre più necessario diventare malfidenti nei confronti di chi offre un prodotto? Perché il prezzo e la quantità sono stati eletti a unici parametri di riferimento d’ogni cosa sul mercato? Perché è necessario avere in casa un mezzo laboratorio per sopperire alle inefficienze qualitative degli odierni beni di largo consumo? Perché è sempre più breve la vita degli ammennicoli elettronici o elettrici, quando i miglioramenti tecnologici sarebbero benissimo in grado di renderli quasi imperituri? Perché ogni volta che acquisto qualcosa devo sempre incazzarmi, prima quando non trovo ciò che cerco, dopo, quando ciò che trovo si rivela un pallido compromesso, e infine quando devo arrabattarmi per riparare ciò che è stato pensato male e realizzato peggio?
Ma soprattutto, perché più passa il tempo e più mi sembra di essere diventato un incontenibile brontolone che ce l’ha col mondo intero?
ULTIME LUNE
Vanitas vanitatum et omnia vanitas
One thought on “Ma perché?”