Le verità di Pinocchio

Le verità di Pinocchio

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Tredicesima puntata

 

Il percorso che avevano scelto si snodava tra basse colline, e ogni tanto sulla sommità di quelle si scorgeva un piccolo casale, ma i nostri viaggiatori preferirono non lasciare il sentiero, un po’ perché quelle rustiche abitazioni parevano le mute testimoni di una vita grama, quindi ben poco aiuto potevano attendersi da chi ci viveva, e inoltre erano convinti che prima o poi sarebbero giunti in un centro abitato, anche piccolo, e lì Alidoro avrebbe potuto riconoscere il proprietario di quella traccia che aveva fiutato, qualcuno che era passato dalle parti di Pinocchio, magari un conoscente, magari un paesano, magari un possibile aiuto.
Di lì a poco incrociarono un contadino che, rastrello in spalla e cappellaccio calato sugli occhi, camminava a capo chino, probabilmente diretto al suo lavoro. Pinocchio attese che quello arrivasse a un paio di passi da loro e lo salutò.
– Buongiorno.
Il tipo manco fece cenno di averlo udito, e Pinocchio, supponendo che non li avesse notati e che per giunta il contadino fosse duro d’orecchio, ripeté il saluto a voce alta.
– Salve, bella giornata vero?
Questa volta ottenne una risposta, solamente che il tutto si risolse in un breve grugnito e un’alzata di spalle, poi il tipo passò oltre e proseguì per la sua strada. Dopo un attimo di stupore per quel comportamento da zotico, fu Alidoro a prendere la parola.
– E dicono di noi cani che siamo bestie. Almeno noi ci s’annusa, ci si scruta, ci s’abbaia contro fino a sbavare, ma ignorarci in questa maniera mai. Proprio un bell’affare essere uomini!
– Non fa niente – gli rispose Pinocchio. – Di tipi strani se ne incontrano sempre, in bene e in male, credimi.
Infatti dopo un po’ di strada videro arrivare un’altra persona, stavolta a cavallo di un asinello. Pinocchio si guardò bene dall’intavolare un dialogo col somaro, immaginando che avrebbe potuto spaventare la coppia, perciò si rivolse all’animale che stava sopra alla schiena del quadrupede.
– Buongiorno signore, sa dirmi dove porta questo sentiero?
– Che domande – rispose quello sbrigativamente. – Porta di là – e indicò col pollice un punto indefinito alle sue spalle, quindi spronò il somarello, il quale si allontanò al piccolo trotto.
La terza persona che incontrarono, anzi che non incontrarono, uscì dal viottolo e tagliò per i campi, evitando di avere a che fare con Pinocchio e Alidoro. Per giunta quello stava portando una cesta di vimini su una spalla, e la spostò subito su quella che dava sul sentiero proprio per giustificare il fatto di non averli nemmeno visti. Andrebbe precisato che ogni volta il cane si teneva qualche passo indietro e che si accucciava, dando mostra di essere un animale di buon carattere, perciò non avrebbe potuto spaventare nessuno.
– Senti Pinocchio, io non sono andato a scuola, perciò l’aritmetica non l’ho imparata – disse Alidoro. – Però mi pare che tre buzzurri bastano a dimostrare che qui non serve perdere tempo a chiedere. Andiamo avanti alla svelta e speriamo di trovare presto un riparo per questa notte.
– Hai ragione amico mio, forse arriveremo a un villaggio dove vivono delle persone più civili.
– E chi lo sa, magari son punto così le persone civili… – commentò acidamente il cane.
Il sole era appena tramontato quando, a poca distanza dal sentiero, videro un’abitazione che pareva meglio sistemata di quelle che avevano scorto sulle colline. Qualche finestra illuminata palesava la presenza dei proprietari all’interno, come pure il filo di fumo che usciva dal camino sul tetto. Memore delle spiacevoli esperienze vissute a Borgobello e Borgobuono, Pinocchio era incerto sul da farsi, ma stavolta fu Alidoro a decidere per lui. Appena giunto nei pressi di quella casa, il cane prese ad annusare con eccitazione il sentiero e il vialetto di ingresso, poi, compiuto un giro completo di quell’abitazione, tornò verso il suo compagno di viaggio senza riuscire a frenare il suo entusiasmo.
– Questo è proprio l’odore che avevo sentito sul bivio, la persona che cerchiamo vive qui. Forza Pinocchio, vai a bussare e vediamo chi è.
Dopo pochi passi si trovarono davanti all’uscio di quella casa, sicuramente abitata ma parecchio silenziosa, forse perché non lì non amavano i bambini, forse perché ci viveva un vecchio solitario e scostante, forse perché da quelle parti tutte le persone non volevano farsi sentire, farsi vedere, farsi notare. Ma la notte incombeva, ed era più spaventosa di tutti quei forse, perciò Pinocchio si aggiustò il vestito è bussò.
Silenzio, poi ancora silenzio, poi finalmente il tonfo di passi pesanti che si avvicinavano alla porta, infine il rumore del catenaccio che scorre e il cigolio delle cerniere, ma la massiccia figura che apparve nella cornice della porta fu più sconcertante di qualsiasi forse che Pinocchio avrebbe potuto immaginare, tanto che fece un balzo indietro dallo stupore.
– Tu? – chiese lui.
– Tu? – chiese quell’altro, quasi all’unisono.
Il cane, supponendo che l’uomo all’interno della casa costituisse una minaccia, si rizzò in piedi, quindi mostrò quei denti che avevano lasciato uno spiacevole ricordo nei polpacci di tanti malviventi e iniziò a ringhiare. Per fortuna, almeno stavolta, aveva preso un abbaglio.
– Buono Alidoro, buono, so chi è, non ci farà del male – gli disse Pinocchio.
Tanto bastò, e il cane riprese un atteggiamento bonario, anche se molte cose restavano ancora da chiarire, e non solamente per lui.
Dopo ancora qualche istante di imbarazzo fu l’uomo sulla porta a prendere la parola.
– Avevo sentito dire che non eri più un burattino di legno, e anzi una volta che ero passato dalle tue parti ero riuscito a vederti mentre stavi andando a scuola.
– E perché non mi avete salutato?
– Lo sai il perché. Io faccio parte di un passato che non devi dimenticare, ma che nemmeno ti si deve ripresentare, non si sa mai… Etcì! Etcì!
– Felicità! – disse ridendo Pinocchio, riconoscendo in quei due starnuti un tratto unico della persona che gli stava davanti. – Dunque, signor Mangiafoco, vedo che ancora vi capita di starnutire quando vi commuovete.
– Proprio così, e ti confesso che era da tanto tempo che non mi succedeva. Su, entrate.
L’interno della casa era curato come la si vedeva da fuori, senza fronzoli ma con buon gusto. Avendo passato del tempo a osservare il suo babbo, Pinocchio sapeva riconoscere un lavoro in legno ben fatto, e anche se l’essenza era pregiata o a buon mercato, perciò non sapeva capacitarsi di come fosse diverso quell’ambiente rispetto allo squallido baraccone sulla spiaggia dove aveva conosciuto Mangiafoco. La risposta lo aspettava sul tavolo della cucina, sul cui ripiano stavano due fondine in legno di ulivo, oltre a due cucchiai e due bicchieri.
– E così voi non vivete qui da solo – disse Pinocchio, aspettandosi di saperne qualcosa di più.
Per prendere tempo l’omone si grattò un po’ la barba, che comunque pareva anch’essa regolata a una misura accettabile, e non più quel cespuglio nero come il carbone che un tempo gli scendeva fino ai piedi. Infine si decise a parlare.
– Hai ragione, ho trovato compagnia, ma di ciò casomai discuteremo più tardi. Tu piuttosto, che ci fai da queste parti? Sei ben lontano da casa, e pochi, anzi quasi nessuno che abita vicino alla costa trova un motivo conveniente per arrivare fin tra questi colli.
Pinocchio si sedette su una sedia della cucina e raccontò a Mangiafoco di come Geppetto si fosse ammalato dopo aver chiuso bottega, degli imbrogli dell’ortolano e di quella coppia di truffatori, del dottore supponente e del farmacista venale, del capomastro generoso e del maestro insensibile, del grillo e della foresta, di Borgobello e di Borgobuono, e alla fine confessò la disperazione per non essere ancora riuscito a trovare un rimedio per guarire il suo babbo.
Ci volle un’ora buona per narrare tutte quelle vicende, e per tutto il tempo Mangiafoco ascoltò in silenzio, tranne che per starnutire ogni tanto. Persino Alidoro aveva messo sul muso un’espressione triste e aveva gli occhi lucidi.
– Vedete come son messo ora, ormai non so più che fare, e non so nemmeno come tornare a casa. Vi prego solamente di ospitarci per questa notte, di più non posso chiedere a voi, ché i miei problemi non son cosa da poco.
– Su questo ti do ragione Pinocchio, un burattinaio non ti può aiutare, ma conosco chi potrebbe farlo, e se lo desideri ti svelerò chi è.
A sentire quelle parole Pinocchio fece un salto sulla sedia e sgranò gli occhi.
– Lo sapete? Su, presto, ditemi chi è!
– Eh, quanta fretta! Non vuoi mangiare qualcosa prima?
– No, no, non ho più fame. Signor Mangiafoco, vi prego, non tenetemi sulle spine, io sono disposto a partire subito anche se è notte!
A sentire quelle parole l’omone si mise a ridere fragorosamente, poi con la mano scompigliò un po’ i capelli di Pinocchio.
– Non c’è nessun bisogno di partire – disse Mangiafoco, e poi si girò verso la scala di legno che portava al piano superiore. – Ehi, hai sentito abbastanza? Dai, ora scendi, che sennò questo sarebbe capace di chissà che cosa per avere delle risposte!
Si udirono le assi del soffitto scricchiolare, poi qualcuno iniziò a scendere lentamente, uno scalino alla volta. Era una figura femminile col volto nascosto dall’ampio cappuccio di un mantello color pavone, e che svelò il suo volto solamente quando giunse alla base della scala, lasciando di sasso Pinocchio.

Continua…

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