Premetto che questo post potrebbe sembrare una sorta di pubblicità di un determinato oggetto, ma vi assicuro che così non è, almeno non nelle intenzioni, e lo si capirà arrivati in fondo a questo testo.
Qualche anno fa scrissi un post dedicato al caffè, non al caffè in generale, bensì a una tipica preparazione da sempre molto in voga a Trieste e dintorni, ovvero il “Capo in B”. Il post si intitola “Le moment le plus beau de la journée”, e oltre ad aprire una piccola finestra sul vasto panorama di modi di preparazioni del caffè in uso dalle mie parti, contiene un breve filmato che mostra la “mia” preparazione del capo in B.
Quella presente nel video è solo uno dei molti modi nei quali io preparo un caffè a casa mia, e se casomai vi venisse voglia di venirmi a trovare non vi stupite se al momento del caffè io vi presenterò un menù sul quale orientare la vostra scelta. Grazie alla mia fedele Kamira e a un pizzico di esperienza sarei in grado di stupirvi, e non solamente dal punto di vista organolettico, ma anche come varietà di preparazioni. L’elenco inizia con l’espresso, quello che da noi viene chiamato “nero”, ma anche cappuccino e gocciato, per citare le forme più semplici, e prosegue col caffè americano, il mocaccino, il viennese, il cubano, lo shakerato, il macchiatone (una variazione veneta del White Flat), l’irish coffee, il corretto grappa o slivovitz, eccetera, oltre a preparazioni di mia invenzione come l’Aspen, lo scorpione, il Granada.
Ovviamente anche il servizio cambia, ovvero ogni tipo di caffè ha la sua tazzina o altro, per esempio per il macchiatone uso una tazzina leggermente più grande e più spessa dei quella dell’espresso, per il viennese impiego delle tazzine speciali decorate a mano che ho trovato a Praga, lo schakerato lo servo nel bicchiere per il Margarita, e così via.
Può bastare? Niente affatto.
Ogni preparazione elaborata ha il suo dolcetto di accompagnamento, dal cioccolatino fondente per il mocaccino al Mozartkugel per il viennese, dal cuneese al rhum per lo scorpione alla scorza di arancia candita per il Granada, e via dicendo.
Adesso può finalmente bastare? Purtroppo no.
Si dà il caso che vale quanto succede per il cibo, dove ogni preparazione ha il suo ingrediente adatto. Infatti nessuno si sognerebbe di preparare un risotto col Padano o con l’Originario, come pure è una bestemmia usare la pancetta nella carbonara. Lo stesso vale, o dovrebbe valere per il caffè.
Capita così che io mi trovi a utilizzare delle miscele asiatiche per le preparazioni dove il caffè si trova in combinazione con altri prodotti, mentre utilizzo un Bourbon del Guatemala per il puro “nero”, oppure un Pergamino del Brasile con un pizzico di Robusta per la sveglia del mattino, fino ad arrivare al profumatissimo etiopico per il caffè turco.
Per quanto io cerchi di conservare al meglio il caffè nelle confezioni il più piccole possibili, è impossibile evitare un certo decadimento delle sue qualità, anche a una settimana di distanza dalla sua macinatura nella torrefazione, ragion per cui mi sono risolto a procacciarmi un’attrezzatura adeguata per compiere questa operazione in casa.
Mal me ne incolse.
Ho fatto il giro di tutti i negozi della città, specificando che non stavo cercando un macina caffè a lame (sconsigliatissimo perché riscalda il caffè e non si ha il costante controllo della grana di macinatura), bensì un’attrezzatura a cono o a macina piana.
Notte fonda.
Nel migliore dei casi, anzi uno, ho trovato la disponibilità all’ordinazione di un “giocattolo” con solamente tre gradi di macinatura, e per il resto ho constatato, ancora una volta, l’ennesima, la totale inadeguatezza dell’offerta e delle competenze connesse. Si andava dal “li tenevo, ma non vanno più” al “provi a cercare in rete”, fino al “mai sentito nominare”.
Come ho scritto sopra, per me il risultato infruttuoso di questa ricerca non è stata una sorpresa, troppe volte ormai ho dovuto misurare l’abissale impreparazione di chi dovrebbe offrire un servizio commerciale accettabile, e la totale miopia dei commercianti che si limitano a vendere i soliti prodotti dei soliti marchi visibili nelle solite pubblicità, salvo poi stracciarsi le vesti e dibattersi in lacrimevoli geremiadi quando si trovano a dover chiudere baracca e burattini a causa della concorrenza di internet.
Carissimi (in tutti i sensi), siete voi che ce li mandate i clienti in internet, con la vostra insipienza, e se non ci credete andate un po’ a leggere il post “La zeritudine”, sempre su questo blog.
Come che sia, prima di andare su web ho inteso fare un test, ovvero mi sono rivolto a quella sorta di ultima spiaggia che è per me la città di Koper/Capodistria, in Slovenia.
Indovinate un po’, lì ho trovato proprio quello che cercavo, e anche di più.
Non è la prima volta che succede, e purtroppo suppongo che non sarà l’ultima, anzi prevedo che qui da noi le cose andranno sempre peggio, poiché non solamente chi vende non sa vendere, ma anche chi compra non sa più comprare, ovvero non distingue più ciò che vale da ciò che è solo “marca”, ciò che è sostanza da ciò che è moda, e in buona misura non sa cosa vuole ma la vuole subito.
Quella che aggiungo qui sotto è la fotografia del mio oggetto del desiderio (esaudito), ma non l’ho inserita solamente per pura dimostrazione, bensì per farvi notare un dettaglio, quello che si può racchiudere nella locuzione latina “nomen omen”, che significa grossomodo “il destino nel nome”.
Date un’occhiata a come si chiama il modello di questo macina caffè: Stelio, proprio come me.
Non chiedetemi perché i tedeschi abbiano scelto questo nome di origine greca, fatto conoscere in Italia nel 1900 dal D’Annunzio tramite il suo romanzo “Il fuoco”, resterà un mistero per me, e pure rimarrà misterioso il destino che mi ha fatto trovare questo oggetto che ha il mio stesso nome, peraltro non comunissimo, ma, credetemi, che non so se è stata maggiore la sorpresa sulla soddisfazione. Non avevo scelta, l’ho acquistato all’istante.
A questo punto si potrebbe supporre che questo post sia equivalente a un messaggio pubblicitario, ma così non è. Se è pur vero che appaiono sia la marca che il modello del prodotto, vi posso assicurare che non l’ho ancora testato, quindi non so se funziona bene e se risponde in pieno alle mie esigenze. Sulla carta parrebbe di sì, casomai vi saprò dire in seguito e magari offrivi un caffè se passate dalle mie parti. Il senso di questo post è un altro, ovvero che pur vivendo accanto a una città di quasi trecentomila abitanti, una cosiddetta “città del caffè”, per trovare un macina caffè minimanente adeguato devo andare in Slovenia, o cercare nel mare magnum di internet, e inoltre risparmiatevi da andarlo a cercare in negozio, non lo troverete, la WMF italiana non lo importa, casomai potreste provare in Habsburgergasse 1-1a, a Vienna, accanto alla Stephansplatz.
Questo inghippo, badate bene, non mi è successo solamente stavolta, e non solamente per un piccolo elettrodomestico (a quanto pare di nicchia), ma anche per altri prodotti più basilari, per i quali ho trovato più disponibilità anche nei piccoli centri dell’Austria, della Cechia, della Francia della Spagna, della Slovenia, e sto parlando di prodotti Made in Italy, quando qui da noi ho l’allarmante sensazione che ormai la montante marea di ciofeche Made in China ci abbia trasformato nella trentaquattresima provincia cinese.