Le verità di Pinocchio

Le verità di Pinocchio

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Nona puntata

 

Assai poco quelle parole consolarono Pinocchio, anzi egli si sentiva sprofondare in un pozzo di angoscia e delusione. Vedendo che era inutile tentare di rientrare in casa, con un guizzo si liberò da quell’abbraccio e corse via. Scappò, da tutto, dalla gente, dal paese, e quando fiato e gambe gli presentarono il conto per quello sforzo cadde in ginocchio tra l’erba alta di un grande prato, e lì, a faccia in giù per non vedere neanche il sole, si mise a piangere a dirotto sfogando tutto il dolore che si era tenuto dentro in quei giorni. Per un un bel po’ non fece altro, piangeva e poi smetteva, tirava su col naso e poi scoppiava di nuovo a piangere; uno strazio. D’un tratto nell’orecchio s’insinuò una vocina stridula e fastidiosa.
– E allora ? Va bene che le previsioni annunciavano pioggia, ma questo è veramente un diluvio!
– Chi c’è , chi è che parla ?
– Io parlo! Sarà mezz’ora che ti dico di smetterla. Sei forse sordo?
Pinocchio osservò attentamente tra l’erba e vide un grillo che agitava verso di lui le lunghe antenne aperto.
– Ma tu sei il Grillo, tu sei… il mio Grillo-parlante.
– Ma che parlante e parlante, io sono un grillo normale!
– Ma tu parli! – replicò Pinocchio.
– E cosa ci sarebbe di tanto strano? Noi si parla da un pezzo, ma siccome nessuno ci fa caso abbiamo deciso di cantare soltanto, che poi a parlare troppo si rischia sempre di fare una brutta fine quando si dicono le cose come stanno. Anche tra grilli io non sono quel che si dice un chiacchierone, ma mi stavi annegando con le tue lacrime. Piuttosto, di’ un po’, che c’avevi da piangere tanto?
Pinocchio raccontò al grillo tutte le sue disavventure senza nascondere nulla, da burattino e da ragazzino, le paure le illusioni e le delusioni. Alla fine si sentì meglio, trasse da tasca un fazzoletto che aveva visto tempi migliori, si soffiò rumorosamente il naso e con un sospiro si mise finalmente a sedere..
Il grillo, mostrando un’insospettabile pazienza, aveva ascoltato in silenzio tutta la storia, e dopo averci pensato un po’ su rincominciò a far sentire al sua vocina stridula.
– Questi ragazzini, non impareranno mai. Ma cosa sei andato in giro a cercare? Mai lasciare la strada vecchia per la nuova!
– Ma… ma… io non capisco, cosa avrei dovuto fare?
Il grillo si alzò sulle quattro gambe di dietro puntò verso Pinocchio la sua esile zampetta.
– Di’, chi, senza chiedere nulla in cambio, t’ha tirato fuori dai guai, i dottori, i farmacisti, i maestri, i bottegai?
– No… non mi pare.
– Chi allora t’ha aiutato anche quando non l’avresti giusto meritato?
Pinocchio si diede una gran manata sulla fronte.
– Ma certo, la Bambina dai capelli turchini! Ma non saprei assolutamente dove trovarla. L’isola delle “Api industriose” nessuno lo sa dove stia, anzi i più giurano che non esiste, che è solamente una fiaba inventata per mortificare i fannulloni.
A quelle parole il grillo si scrollò tutto come se avesse sentito uno sproposito enorme, come, che so, se qualcuno gli avesse detto che la Terra è rotonda.
– Ma benedetto giovine, non ti rendi conto che l’hai sempre trovata senza cercarla?
– E allora?
– Ma bisogna dirti proprio tutto! Abbi fiducia. Vai, e prima o poi la incontrerai.
Pur senza aver compreso il senso di quella frase, Pinocchio s’alzò in piedi, tolse l’erba dai pantaloni e si guardò in giro. Si trovava in un vasto prato e le colline già nascondevano il paese. A vista d’occhio non si vedeva una casa o un fil di fumo.
– Allora, dove vado? – chiese Pinocchio al grillo.
– E io che ne so? Guarda, dietro a te c’è il paese. Vuoi tornarci?
– No.
– A un’oretta di cammino alla tua destra c’è il mare. Vuoi navigare?
– No.
– A sinistra ci son le montagne coi briganti che aspettano i viandanti indifesi. Vuoi provare?
– No, no, no.
– Allora non ti resta che proseguire diritto.
– E dove s’arriva?
Il grillo se ne stette in silenzio per un attimo, quasi a voler pesare le parole prima di pronunciarle.
– S’arriva alla Foresta dei mille sentieri.
– Mille?
– Così dicono, io non sono mai andato a contarli, non ci tengo a passare lì dentro la mia vita cercando l’uscita.
– Ma allora è impossibile attraversarla.
– Questo non lo so. Ho sentito dire che all’ingresso c’è un indovinello che ti mostra la strada, ma ho anche sentito dire che di quelli che c’hanno provato si son perse le tracce.
A Pinocchio parve che il grillo lo stesse prendendo in giro. In buona sostanza gli stava dicendo che non c’era alcuna speranza di ritrovare la sua buona Fatina, e che al massimo avrebbe potuto sperare di annegare in mare o farsi sparare dai briganti, oppure anche scegliere di morire di stenti nella foresta.
– Certo che mi sei proprio di grande aiuto tu!
Al che il grillo assunse una posa talmente ridicola che a Pinocchio scappò da ridere pure in quel frangente. La bestiola s’era ancor di più rizzata sulle gambe di dietro e aveva messo l’estremità delle restanti due zampette sui fianchi, tenendo ben sporgenti quelli che potevano assomigliare a dei gomiti. Pareva proprio il suo maestro quando si trovava a dover riprendere qualche scolaro che aveva appena detto una colossale castroneria.
– Stammi a sentire! Ti sei bruciato, sei andato in prigione, sei stato impiccato, ti sei ammalato, hai vissuto da cane, da somaro, da pesce, hai rischiato la frittura, sei pure finito in pancia a un pesce, e adesso ti spaventi per quattro alberi?
– Hai ragione grillo mio, si farà quel che s’ha da fare, e allora è meglio che m’incammini prima che venga troppo buio per trovare la strada. Addio.
– Addio, e buona fortuna.
Era ben passato mezzogiorno quando il sentiero condusse Pinocchio all’imbocco della Foresta dei mille sentieri. Giusto prima di inoltrarsi tra gli altissimi faggi e le monumentali querce c’era piantato nel terreno un cartello di legno con un severo monito “SE SAI LA TUA STRADA LA PERDERAI, SE NON SAI LA TUA STRADA LA TROVERAI“.
– O bella, – si disse Pinocchio – e questa come m’aiuta? Beh, non mi resta altro che entrare per un tratto e vedere se il bosco è così brutto come me l’ha dipinto quel grillo.
Il sentiero non proseguiva diritto, ma pareva proprio che fosse stato tracciato con un mucchio di curve in grado di far perdere l’orientamento chi lo percorreva. Anche se poco illuminato perché i raggi del sole non riuscivano a filtrare tra le alte fronde, era praticamente impossibile di perdersi, ce n’era uno solo e sarebbe stato sufficiente seguirlo.
Fino al primo incrocio.
Pinocchio infatti si trovò a dover scegliere se proseguire diritto, andare a destra, andare a sinistra. Per prudenza preferì tornare indietro, e solamente quando rivide quel famoso cartello tirò un sospiro di sollievo. Comprese che era quella la trappola dei mille sentieri, giacché dopo quell’incrocio ce ne sarebbe stato sicuramente un altro, e poi un altro ancora, e ancora, a formare un labirinto nel quale un solo errore poteva intrappolare il viaggiatore per sempre. Se tentare la fortuna era chiaramente un’impresa disperata, non rimaneva altro che quella scritta a fornire un’indicazione quanto mai sibillina.
Pinocchio la lesse e rilesse fino a stamparsela a mente, la guardò da lontano per cercarci una sorta di mappa, la guardò da vicino per vedere se c’erano delle parole piccole tra le lettere, magari solamente incise, ma niente; quella scritta rimaneva semplicemente una scritta. Allora, per combattere lo scoramento e fingere di trovare qualcuno da interrogare, iniziò a ragionare a voce alta.
– Dunque, fammi capire, se so la strada io mi perderò, e non vedo come dato che la conosco, già qui la faccenda non mi torna. Però se non so la strada io la troverò, ma la scoprirei per pura fortuna, una fortuna che dire sfacciata è dire poco. Allora il cartello dice cose senza senso, oppure è bugiardo, come chiedere la strada a un ubriaco o a un imbroglione, non se ne esce.
Quel “chiedere la strada” fece suonare un campanellino nella mente di Pinocchio, e lui cominciò a girarci attorno, avendo intuito che lì forse si sarebbe aperto uno spiraglio per risolvere l’enigma.
– Chiedere la strada… chiedere la strada… chiedere…
Pinocchio s’azzittì di colpo, quasi stupito del fatto che la chiave gli apparisse in tutta la sua evidenza. Ora si trattava solamente di trovare il modo di utilizzarla.
– Ma certo! Il cartello non è la risposta, è una domanda! Io so la strada? Certo che no, io non so la strada, e allora andiamo.
S’incamminò con spasso spedito e sicuro fino al primo incrocio, e lì, all’altezza del suo naso, cercò sul fusto degli alberi la presenza di muschio. Trovatolo, si diresse senza esitazioni lungo il sentiero che andava verso Nord. All’incrocio successivo, sempre con lo stesso metodo, svoltò a Ovest, poi di nuovo a Nord, a Sud, e infine il sentiero rivolto a Ovest lo condusse finalmente all’uscita della Foresta. La mappa era costituita da quel “non so” che è l’unica risposta che ci dovrebbe dare quando la vita ci pone di fronte a cose, eventi e problemi più grandi di noi.

Continua…

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