Le verità di Pinocchio – Ultima puntata

Le verità di Pinocchio

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Ventesima puntata

 


La porta era accostata, però attraverso una finestrella che dava sulla strada si indovinava la luce di un lume. Pinocchio entrò cercando di non far troppo rumore, temendo di svegliare il babbo che magari stava riposando, ma la prima persona che incontrò all’ingresso fu una vicina, un donnone che aveva un cuore grande come le sue forti braccia da lavandaia e che s’era abituata alle ubbie del vecchio scapolo, aiutandolo di tanto in tanto nelle faccende di casa per le quali Geppetto non era proprio tagliato.
– Chi va là, ah, Pinocchio, sei tornato finalmente – disse quella, impostando la voce come per rimproverarlo, un tono che però non riuscì per niente a mascherare il sollievo.
– Sì, son qua, come sta il babbo?
– Eh, sta come sta. Adesso dorme. Ha preso un po’ di brodo. Dov’eri finito?
– Grazie signora, grazie d’aver pensato al mio babbo. Io ero andato in cerca di un modo di guarirlo.
– Un’altra medicina? Già la prima l’abbiamo dovuta buttare, faceva più male che bene, e adesso…
Pinocchio prese entrambe le mani della donna e la fissò in volto, cercando di tranquillizzarla prima con lo sguardo e dopo con le parole.
– No, nessuna medicina, ma forse si può fare in un altro modo. Vedremo domattina.
Intanto che parlava, Pinocchio osservava con attenzione i movimenti della donna, e capitò che passando accanto al lume lei mostrasse alcuni riflessi di sottilissimi fili diretti verso quel fenomenale burattinaio. Il fatto lo condusse a credere che i fili, non potendo attraversare il soffitto e i coppi fossero immaginari, ma poteva ben capitare che a essere immaginari fossero il tetto e i coppi.
– Che guazzabuglio, io non mi ci raccapezzo più!
– Come dici Pinocchio?
– Niente, niente, son pensieri miei.
– Tu hai troppi pensieri per la tua età. Ora va’ a dormire, sarai stanco. In cucina ho lasciato del latte, un bicchiere di quello ti farà bene.
– Grazie signora, farò come dite.
Tra gente di paese di smancerie non se ne facevano, perciò, senza profondersi in ringraziamenti e saluti, si separarono, lei verso casa sua e Pinocchio verso la cameretta dove dormiva Geppetto.
– Povero il mio babbo mio, come sei pallido! – disse sottovoce appena fu accanto al letto.
La stanza era illuminata fiocamente da una singola candela, eppure il volto di Geppetto spiccava nella penombra come di notte la luna piena, però sembrava che almeno stesse godendo di un buon sonno. Pinocchio allora si fece coraggio, trovò la forza di tornare in cucina per bere quel raccomandato bicchiere di latte, quindi si distese sul suo lettuccio, e lì, complice la fatica di quella lunga giornata, s’addormentò praticamente di botto.
L’indomani, appena levato il sole, Pinocchio uscì di casa per comprare un paio di uova fresche e dell’orzo tostato, quindi ritornò di corsa e scappò in cucina. Accese il fuoco e mise a bollire un bricco d’acqua, nel quale versò un paio di cucchiai di polvere d’orzo. Zucchero ce n’era ancora, perciò prese un pentolino e messolo a bagnomaria sbatté i due tuorli assieme allo zucchero fino a ottenere una morbida crema. Intanto il caffè d’orzo era pronto, e Pinocchio lo versò in due scodelle, nelle quali gettò anche lo zabaione. Era arrivato il momento di svegliare l’ammalato.
– Babbo, su, svegliatevi.
Dovette ripetere quell’esortazione più volte, fino a quando Geppetto aprì gli occhi e, senza sollevarsi, diede uno sguardo alla stanza, finché scoprì chi lo stava chiamando.
– Pinocchio, sei tu!
– Sì babbo, son io, finalmente di nuovo a casa.
– Come sarebbe dire finalmente? – chiese Geppetto con fare sorpreso.
– Oh, babbo mio, se sapeste. Ma non ricordate nulla?
– Dunque, fammici pensare. Ricordo che stavo male, e tu m’hai fatto bere una medicina, e poi…
– E poi?
– E poi niente. Adesso ho riaperto gli occhi e ho visto il mi’ figliolo. Era ieri sera?
– Quattro giorni son rimasto lontano da casa, ho attraversato contrade assai strane, ho incontrato persone cattive e persone buone, ho ritrovato il posto dove son nato, e lì ho scoperto un mondo che m’ha cambiato, ancora una volta.
Geppetto alzò di poco il capo per osservare meglio Pinocchio.
– Non mi pare che tu sia molto diverso, sei forse solamente un po’ più sporco del solito.
– È che ho attraversato il bosco per tornare a casa, anzi m’è pure capitato di passarci la notte.
– Da solo, nel bosco, e per giunta di notte! Ma dico, ti rendi conto dei rischi che hai corso?
Geppetto s’era puntato su col gomito per dare più forza a quella domanda che conteneva un sottinteso rimprovero.
– Ma no babbo, non ero da solo.
– Ah, meno male, volevo ben dire…
– M’ha accompagnato una volpe.
– Bene, bene, c’era con te una volpe… un momento, come sarebbe a dire una volpe?
Approfittando del fatto che lo stupore aveva fatto alzare ancora più su la schiena di Geppetto, Pinocchio ne approfittò per piazzargli un cuscino dietro a quella e lo mise a sedere contro la testiera del letto.
– Vi racconterò tutto per filo e per segno quando starete meglio, ora prendete su quest’orzo con lo zabaione che vi rimetterà in forze – rispose Pinocchio, mescolando quel beverone caldo e infilandogli la prima cucchiaiata in bocca.
Ci volle qualcosa di più d’un po’ prima che Geppetto la finisse di brontolare che lo si trattava come un moccioso mentre veniva imboccato, ma alla fine regalò a Pinocchio un sospiro di soddisfazione e lo lasciò tornare in cucina a bere il suo di orzo che intanto s’era pure freddato.
Terminata quella specie di prima colazione, Pinocchio tornò nella camera del babbo, spalancò la finestra che dava sul cortile per cambiare l’aria della stanza e infine si sedette sul bordo del letto. Da quando era diventato un bambino in carne e ossa, Pinocchio non era mai stato lontano da casa più di una mezza giornata, e comunque Geppetto tornava a casa ogni sera dopo il lavoro. Magari negli ultimi tempi non era troppo loquace, e talvolta si limitava a spiccicare solamente mezze frasi, più masticate che pronunciate, ma era una presenza costante nella vita di Pinocchio. Quel viaggio lo aveva tenuto lontano solamente qualche giorno, eppure Pinocchio si sentiva come se fosse appena tornato dall’altro capo del mondo, e in una certa qual maniera era andato ancora più lontano, anzi si poteva dire che aveva visitato tutto un altro mondo. Per un momento ebbe paura che quella sua nuova consapevolezza formasse un confine invisibile ma insuperabile tra lui e il babbo, e perciò restava seduto accanto a lui per affinché non si perdesse il senso di familiarità reciproca che li aveva mantenuti legati anche nei momenti più travagliati. Restava però da capire cosa fare per Geppetto, il quale, per quanto in sé, non era di certo il ritratto della salute.
– O babbo, come vi sentite? – gli chiese Pinocchio, pentendosi quasi subito d’aver fatto quella domanda che poteva sembrare fin troppo banale in quella situazione.
– Così così, mi sento un po’ debole, ma immagino che potrebbe andare peggio. Ora provo a mettermi seduto. Dammi una mano.
Con lentezza Geppetto spostò di lato una gamba e posò il piede sul pavimento, poi fece la stessa cosa anche con l’altra, mettendosi infine seduto anche lui sul bordo del letto. Pinocchio gli infilò subito ai piedi le pantofole perché non prendesse freddo.
– Dopo tutto quello che avete passato ci mancherebbe proprio che vi buschiate anche il raffreddore!
Se ne stettero così tutti e due per un bel po’, ma se Geppetto sembrava immerso in pensieri suoi, magari cercando di catturare qualche brandello di ricordo su quei giorni trascorsi a letto, Pinocchio non la smetteva di scrutare con attenzione il suo babbo, e a un tratto la luce che irrompeva dalla finestra rivelò ciò che lui temeva. Si vedevano appena appena, apparivano per un attimo e si potevano scorgere solamente si si sapeva cosa cercare, ma c’erano quei maledetti fili.
Pinocchio allora passò una mano per scostarli, spezzarli, farli sparire, e quelli effettivamente lasciavano Geppetto, si ritiravano da lui e si dissolvevano, salvo riformarsi dopo un po’. Si rese conto che era una battaglia persa in partenza, e che purtroppo anche il babbo era preda di quell’assurda ragnatela. Quei suoi movimenti incuriosirono Geppetto, il quale non capiva il senso di tanto sventolare e agitare le mani.
– Che succede, sono forse sporco di polvere, di segatura? Ci sono delle zanzare?
– Nulla, nulla, babbo, non vi preoccupate, è una cosa che dovevo controllare.
– E hai controllato?
– Sì.
– Allora?
– Babbo, io vi voglio bene, lo sapete, e stavolta vi dovete fidare di me.
– Sentiamo.
Pinocchio raccontò a Geppetto del suo viaggio attraverso la Foresta dei mille sentieri, dei villaggi che aveva attraversato e delle genti che aveva incontrato. Gli disse che mai sarebbe riuscito a tornare a casa sano e salvo senza l’aiuto degli amici che s’era fatto quand’era un burattino, e infine descrisse per quanto poteva lo svelamento della sua origine di come quell’incontro l’avesse cambiato.
– Babbo, una cosa ho capito, qui per noi non è vita, dobbiamo andarcene.
– Andare via, e dove?
– Lontano, dove non ci sono burattini e burattinai, né di legno e né di carne, lontano, per assaporare di nuovo il gusto per la vita, lontano, dove farete il lavoro che vi garba e non uno che siete obbligato a fare, lontano dalle regole stupide, da guardie e prigioni, verso luoghi nei quali basta poco per sentirsi più ricchi del re, e dove nessuno mi chiederà se sono diligente o se sono utile, ma solamente se sono sincero e di buon cuore.
– Eh, sarebbe bellissimo, però quanto lontano dovremo andare? Sai bene che da molto tempo le mie gambe non sono più giovani .
– E chi ha parlato di camminare?
Quella mattina videro Pinocchio girare per il villaggio per saldare qualche debituccio di Geppetto e per procurarsi delle vettovaglie, non molto, giusto il necessario per un viaggio di qualche giorno. Più di qualcuno notò che accampava uno sguardo beffardo, quasi derisorio nei confronti di chi incontrava per via. Ogni tanto lo si vedeva fermarsi e scambiare qualche parola con un albero, un cane, un roseto, e la curiosità dettata da quel comportamento bizzarro lasciava presto il posto alla compassione per uno stato di apparente disturbo mentale, ma lui non se ne curava affatto. Dopo aver lasciato le cibarie a casa e aver aiutato Geppetto a vestirsi, scese verso la riva del mare, lì dove i pescatori avevano arenato le barche e si stavano occupando delle loro reti.
Pinocchio percorse quasi tutta la spiaggia, finché adocchiò un pescatore che accanto alla sua barca aveva una cesta di granchi che si stavano litigando il poco spazio a disposizione.
– Quanto volete per quei granchi, signore?
Il pescatore se ne stette un po’ a pensare. Nessuno comprava mai granchi, alle donne facevano paura, mentre gli uomini non avevano la pazienza di pulirli, e perciò, invece di ributtarli in acqua, li aveva tirati su solo per ricavarne dell’esca. Non sapendo quanto chiedere buttò lì una cifra, sperando che non sia troppo alta.
– Tre soldi.
– Sta bene, li prendo – rispose senza esitazioni Pinocchio.
Dato che il ragazzino non aveva battuto ciglio a quella richiesta, il pescatore decise che forse poteva spremergli ancora qualcosa.
– Più due soldi per la cesta.
– Eccoveli.
Pinocchio consegnò la somma richiesta nella mano dell’uomo, prese la cesta e s’allontanò lungo il bagnasciuga d’una trentina di passi. Il fatto che quel ragazzino non stesse tornando verso il villaggio incuriosì il pescatore, e senza darlo troppo a vedere non smise di seguirne i movimenti, e il seguito della storia fu argomento di conversazione per molti mesi in famiglia e in taverna. Peccato che nessuno mostrò mai di credere al suo racconto.
Pinocchio s’avvicinò al punto dove le onde lambivano la rena, e lì rovesciò la cesta liberando i granchi. Poi, apparentemente, si mise a discorrere con loro, e quelli, invece di scappare, restarono ad ascoltare quello che il ragazzino diceva. A quella distanza non fu possibile per il pescatore comprendere di cosa stesse parlando, l’unico indizio fu una frase pronunciata a voce un po’ più alta, e diceva pressapoco così: – Mi raccomando, passate parola!
I granchi tornarono finalmente a casa, cioè in mare, e allora Pinocchio si mise seduto sulla sabbia in attesa di non si sa che cosa. Ormai il pescatore se ne sarebbe rimasto lì sulla riva anche fino al tramonto per sapere come sarebbe andata a finire quella storia bizzarra, e fu accontentato con gli interessi. Erano da poco suonate le undici, quando un granchio solitario scivolò fuori dalle onde, si fermò accanto al ragazzino e gli mostrò cosa teneva in una chela. Un momentaneo luccichio fece presumere al pescatore che fosse un pezzo di metallo, anche se tutta la faccenda d’un granchio da riporto rimaneva inverosimile, ma fu ciò che successe poco dopo a dare il “la” a una serie di supposizioni, le quali erano tutte una più fantasiosa dell’altra.
Pinocchio fece un inchino al granchio, come per ringraziarlo, e tornò verso il pescatore che lo stava osservando a occhi sgranati.
– Eccomi di nuovo qui.
– Ehm… ehm… vedo, ho visto, anche se non ho capito cos’ho visto veramente.
– Non preoccupatevi. Piuttosto ditemi, potrei comprare la vostra barca?
Se fosse stato un altro pescatore a fare quella richiesta, o una persona facoltosa in vena di emozioni marinare, all’uomo non sarebbe parso un fatto strano, tutt’al più imprevisto, ma riceverla da un moccioso forse un po’ tocco gli sapeva di presa in giro.
– O’ grullo, sai con non bastano cinque soldi per comprare la mi’ barca?
– Forse questo basta – rispose Pinocchio, mostrando al pescatore un grosso anello d’oro con una pietra che avrebbe fatto la sua figura anche sulla corona d’una regina.
Bastava, bastava anche per comprane dieci di barche, e poco mancò che al pescatore cascasse la mascella a terra per lo stupore.
– Oh… eh… uh… sì, va bene, siamo d’accordo.
– Siamo d’accordo – confermò Pinocchio, e porse la mano all’uomo per suggellare l’affare.
– Però…
– Però?
Il pescatore non sapeva ancora se credere o non credere a quanto gli stava succedendo.
– Però, è tuo? Non è che l’hai rubato, vero?
– Caro signore, avete visto anche voi com’è andata. Diciamo che l’ho trovato in mare. Vi sta bene?
– A me? A me sta benissimo! La barca è tua ora, in bocca al lupo – rispose il pescatore.
– Nel mio caso sarà in bocca al cane, ma fa lo stesso.
L’uomo rinunciò a capire, prese l’anello e se ne andò tutto contento per la fortuna che gli era capitata.
Molto di più non si sa di cosa fece Pinocchio in seguito, o almeno non si hanno molte notizie certe e comprovabili, ma solamente testimonianze parziali e non sempre concordi. Chi era sulla riva racconta che quel ragazzino tornò subito al villaggio. Lì c’è chi afferma d’aver visto Geppetto uscire di casa, e che s’aiutava con un bastone per camminare. Altre persone giurano d’averlo incontrato sulla via della spiaggia assieme al suo figliolo, e quello recava una grossa cesta di vimini con dentro non si sa che cosa. Ma le dichiarazioni più impensabili sono due, e purtroppo non danno garanzie di credibilità. La prima riguarda un uomo che dice d’aver aiutato un vecchio e un ragazzino a mettere in mare la loro barca. Il fatto che il testimone fosse un notorio ubriacone non depone a suo favore, e qualora fosse interrogato in merito non saprebbe dire se in quel momento era totalmente in sé. La seconda testimonianza venne fornita da alcuni pescatori che avevano appena lasciato l’approdo per andare a gettare le reti. Stando al loro racconto, pare che al largo sia apparsa la temibile sagoma del pesce-cane, e che quello si sia avvicinato lentamente a un’imbarcazione solitaria. A causa della distanza e della luce radente che volgeva quasi al tramonto non furono in grado di fornire molti particolari, salvo che sulla barca parevano stare due persone, e che una di esse, piuttosto bassa di statura, si sia messa proprio di fronte al muso del pesce-cane. Quel quadretto incredibile durò forse qualche minuto, poi sembrò che la bestia aprisse la bocca per farci entrare la barca. Di più non si venne a sapere perché i pescatori, inorriditi dalla presenza del pesce-cane, girarono subito la prora verso riva e scapparono, temendo di perdere la vita anche loro, e quando buttarono un’occhiata alle loro spalle non videro più né la bestia e né la barca. Si sa che se ci sono persone particolarmente dotate di molta fantasia e tendenti all’esagerazione quelle sono i pescatori, perciò le loro parole non furono prese troppo sul serio e servirono solo a generare altre storie incredibili dove i pesce-cani erano tre o quattro almeno, enormi, e avevano divorato un intero veliero.
Come fu e come non fu, sta di fatto che da quel giorno di Pinocchio e Geppetto non s’ebbero più notizie, e per quanto s’indagasse nessuno seppe dov’erano andati a finire.
Proprio nessuno?
Quasi nessuno.
Dovete sapere che ogni primavera alcune rondini in arrivo erano use fermarsi nei pressi di una casetta dove abitano tre personaggi che conosciamo bene, e a loro raccontavano come se la stavano passando Pinocchio e il suo babbo. Passata l’estate, prima di prendere la via verso Sud, ripassavano da lì per raccogliere tutti i messaggi che avrebbero portato fino agli ameni lidi dove, a quando pare, i due si godevano la vita. Diciamo che si trattava di una sorta di servizio postale a voce.
C’era però ancora una quarta persona che, pur non sapendo dove fosse andato a finire Pinocchio, era certo che stava bene, anzi molto meglio di quando abitava al villaggio. Era il capomastro della segheria, il quale, poco prima delle feste natalizie, trovava nella sua baracca che fungeva anche da ufficio un pacco indirizzato a lui. Chiedendo in giro veniva solamente a sapere che era stato un marinaio di passaggio a consegnarlo, e si capiva che doveva arrivare da molto lontano, sia il pacco che il marinaio. A casa, la sera di Natale, il capomastro apriva quel pacco, e dentro, tra la paglia, ci trovava della frutta dolcissima mai vista prima nei paraggi. Era una festa per la sua famiglia, per la straordinarietà dei sapori e per il fatto che in quel periodo dell’anno ce n’era assai poca in tavola, in quanto chi non era ricco si doveva contentare di noci e nocciole, castagne secche, nespole e qualche grappolo di Verdea. Così, mentre tutta la famigliola manifestava il suo entusiasmo con esclamazioni di sorpresa e gridolini di soddisfazione, al capomastro, seppur sorridente, scappava non vista una lacrima. Sapeva, solo lui sapeva chi gli aveva fatto quel regalo inaspettato, ed era felice che qualcuno si ricordasse ancora di lui, e poi così da lontano. Quel ragazzino aveva scoperto che dietro il vocione e il fare burbero del capomastro si nascondeva un cuor d’oro, ma doveva rimanere il loro segreto, anche se spesso tornava a chiedersi cosa mai potesse costringerlo a comportarsi sempre da orco. La risposta che si dava era pressapoco sempre la stessa.
– Mah, si vede che c’è chi mi vuole così!

 

Fine

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