Le verità di Pinocchio
Diciannovesima puntata
Pinocchio dette un’occhiata alla radura, giusto per capire su che lato piovessero le ombre, compresa la sua, e poi si mosse lungo il dolce declivio di quel colle. Non aveva fatto più d’una ventina di passi quando scorse tra l’erba alcuni solchi che non potevano essere causati che dal passaggio di ruote. Mano a mano che procedeva quelli s’incrociavano, si sovrapponevano, fino a formare una sorta di binario comune diretto a valle.
Gli alberi erano molto più radi ora, e non ci volle molto prima di incontrare un tratturo dall’aspetto alquanto provvisorio, e infine una carrareccia vera e propria, la quale s’allontanava da quella zona boschiva e si perdeva in lontananza su un orizzonte di campagne coltivate e frutteti. Pinocchio ragionò che seguendo quella direzione avrebbe, prima o poi, incontrato una persona in grado di fornirgli qualche indicazione su che strada avrebbe dovuto prendere per tornare a casa sua, dal babbo, ma si sbagliava.
Era pomeriggio inoltrato quando, appena presa la discesa dietro a una svolta, scorse non troppo lontani dei fili di fumo nerastro che si levavano da alcune tozze ciminiere d’un opificio. Non li aveva visti prima perché sembrava che facessero fatica a salire poco sopra quei camini e si allungavano verso la piana formando un fosco merletto che si sfrangiava il lontananza.
Pinocchio, giunto che fu nei pressi di quel largo fabbricato, s’accorse di due cose, la prima era che si trattava di uno stabilimento dove si lavorava il legno, lo si capiva dalle alte cataste di tronchi che attendevano di venire lavorati, mentre la seconda , più stupefacente che mai, era che si trattava dello stesso posto dove il babbo aveva lavorato fino a qualche giorno prima. Sul momento non se n’era accorto perché, arrivando dai campi non aveva riconosciuto quel lato della fabbrica, il cui ingresso principale era sul lato opposto, il lato che guardava il villaggio, e quello stesso gli rimaneva nascosto alla vista a causa dei capannoni e dell’alto muro di cinta.
– Sono a casa! – gridò, pur non essendoci nessuno lì vicino in grado di spartire la sua gioia, e anche se ci fosse stato quell’esclamazione si sarebbe persa nel frastuono provocato dai grandi macchinari che andavano a tutta forza. Pinocchio si sarebbe volentieri buttato giù per la discesa a rotta di collo per arrivare prima a casa, però le sue gambe già faticavano a reggerlo dopo quella lunga scarpinata, quindi, suo malgrado, prese la via che portava al paese con un’andatura quasi da tranquilla passeggiata.
Prima di andarsene volse lo sguardo verso la gran massa di tronchi accatastati accanto al muro della segheria, ma non ebbe cuore di avvicinarsi e né tanto meno di toccarli, temeva di provare di nuovo quel bruciante dolore che l’aveva sconvolto quando s’era seduto sul ceppo nella radura. La sola vista di quei tronchi che un tempo furono esseri vivi gli fece provare un brivido di compassione, li sentiva fratelli, e piangeva la loro sorte. In quel momento Pinocchio si ricordò delle parole pronunciate dal pino che gli aveva rivelato le sue origini, ovvero che avrebbe visto la realtà delle cose con occhi nuovi, e forse si trattava di questa nuova ma triste sensazione di comunanza. Ancora non sapeva quanto quell’incontro nella radura l’avesse cambiato. Se ne accorse quasi senza accorgersene, scusate il bisticcio, quando entrò in paese.
Quando si fa una scampagnata può capitare di passare attraverso due cespugli, e camminando non è raro che, nelle stagioni più miti, qualcosa di leggero sfiori il volto, qualcosa di appena percettibile ma comunque con una sua consistenza. Quel delicatissimo tocco dura meno di un passo, poi cessa del tutto: era un filo di ragnatela. Dopo quell’esperienza è abbastanza normale aguzzare lo sguardo per cercarne altri, e solamente se la luce cade in una certa maniera se ne può scorgere il debole riflesso.
La stessa cosa capitò a Pinocchio, nel momento in cui credette di scorgere un baluginìo che si dipartiva dal braccio di un passante, ma sul momento concluse che la stanchezza gli stava facendo dei brutti scherzi.
– Oh, che diamine, ora ho pure le traveggole – disse Pinocchio.
– Come hai detto caro, stai male? – s’informò una donna che lo stava incrociando per la via.
– No, no, non fa niente, m’era solamente parso di… forse ho visto male.
– Cosa? – insistette quella.
– Oh, era una sciocchezza, come un filo sottile che partiva da braccio di una persona e saliva verso, verso, verso dove non lo so.
– Hai ragione, non preoccuparti, sicuramente era proprio una sciocchezza, io non ho mai visto niente del genere. Su, vai a casa ora – disse lei, non mancando di regalargli un sorriso e un buffetto sulla guancia.
Pinocchio si tranquillizzò e riprese la strada di casa, ma dopo un paio di passi s’accorse d’aver mancato di salutare con educazione quella signora così gentile, perciò si volse verso di lei per compiere il suo dovere.
– Oh no, anche lei!
– Io cosa? – chiese allarmata la donna.
– Nulla, nulla, mi scusi – disse Pinocchio, prima di scappare lontano da ciò che aveva appena visto.
Imboccò uno stretto vicolo che dava sulla via principale e trovò un portone leggermente rientrato, la cui oscurità offriva riparo alla vista e quartiere per riprendere fiato. Solamente dopo che fu certo della saldezza dell’animo e delle gambe emerse da quel corto androne e percorse a ritroso il vicolo. Giunto che fu al temine di quello si dispose a osservare con attenzione le persone che gli sfilavano a qualche passo di distanza. La luce del tramonto non s’era ancora spenta, e perciò si potevano notare ancora bene tutti i dettagli, i tratti del volto, i vestiti, le scarpe, i bottoni, i cappelli, i rari orecchini, oppure degli occhiali, insomma tutto, compresi dei sottilissimi fili che si alzavano dalle braccia, dalle gambe e dalla testa e che si dirigevano oltre la sua possibilità di scorgerli oltre.
Pinocchio si stropicciò più volte gli occhi, temendo un difetto o un imbroglio, ma quei maledettissimi fili non accennavano a sparire. S’arrischiò perfino a fermare un signore abbastanza distinto che gli sembrava cordiale e bendisposto.
– Mi perdoni se la disturbo – disse Pinocchio, cercando di palesare l’espressione più innocente possibile.
– Nessun disturbo. Ti sei forse perso? – chiese quello, dimostrando così di essere veramente cortese.
– No, grazie, non mi sono perso. Però vorrei farle una domanda che forse la sembrerà un po’ strana.
– Dimmi pure, e spero di contentare la tua curiosità.
– Sì, ehm… lei… ecco… lei ha forse dei fili attaccati al suo vestito?
L’uomo prese a ridere di gusto, come se la domanda di Pinocchio fosse una divertentissima battuta di spirito.
– Ma certo che ho dei fili. Che, forse non si vedono?
Quella risposta schietta e immediata sconcertò Pinocchio, il quale non s’aspettava di sapere confermata in maniera così naturale ciò che non avrebbe creduto possibile fino a qualche momento prima.
– Quindi anche lei ha i fili, come tutte le altre persone.
– Mi pare ovvio, altrimenti come si attaccherebbero le maniche alle spalle della giacca, i bottoni alla camicia, le tasche ai pantaloni? E dimmi, forse da grande vuoi fare il sarto?
– Veramente io intendevo gli altri fili.
– Quali altri? Non ti capisco.
– I fili che…, non fa niente, mi scusi – disse Pinocchio, persuaso che non era il caso di insistere su quell’argomento. Oramai era chiaro, i fili li vedeva solamente lui, e forse era quello il cambiamento promesso dal pino della radura.
Intanto che procedeva verso casa osservò con attenzione le persone che incrociava per la via, e tutte, ma proprio tutte avevano quei sottilissimi fili. Aguzzando la vista s’accorse che il movimento di quei fili s’accompagnava a quello delle persone, delle loro mani, dei piedi, della testa, eppure non s’imbrogliavano mai. Per qualche motivo a lui ancora ignoto si soffermò a riflettere su quel particolare, sul fatto tutto sembrava così ben accoppiato, quando, di colpo, il mondo si capovolse. Lo sgomento fu così forte che per un attimo perdette l’equilibrio e fu lì lì per fare un capitombolo: non erano il fili che s’accompagnavano ai movimenti delle persone, bensì il contrario, sembrava proprio che le persone assecondassero gli spostamenti dei fili!
Dopo quell’attimo di accecante rivelazione, Pinocchio si rese conto di star contemplando un elaborato spettacolo di burattini, in un teatro che probabilmente non aveva confini, e nel quale il potentissimo burattinaio restava celato. Si chiese per quale pubblico fosse stata organizzata una tale rappresentazione, e dove diavolo si trovasse, a ridere, a fischiare, ad applaudire.
Per darsi un po’ di d’animo ragionò a voce alta, incurante di cos’avrebbe pensato chi gli stava intorno.
– Se chi tira i fili sta così in alto che non lo vedo, forse anche il pubblico è molto lontano, però non capisco cosa riesce a vedere da lì.
Quel ragionamento lo condusse a un’ipotesi abbastanza bizzarra, mai comunque quanto quella situazione, ovvero che erano gli stessi burattini a formare il pubblico, completamente ignari del loro doppio ruolo. Poi, quando la memoria lo ricondusse ai tempi durante i quali era fatto di legno, si persuase che mai aveva provato la sensazione di essere comandato da fili, e per maggior sicurezza scrutò ben bene le sue mani, le sue braccia, i suoi piedi, e tutto quello che poteva essere mosso da un burattinaio, ma non trovò fili di sorta.
Intanto che procedeva, gli capitò di passare accanto a degli alberi. Si fermò e si rivolse a quelli.
– Sapete, forse ero anch’io un ragazzino con i fili, ma il mio fratello pino me li ha staccati quando l’ho abbracciato, e m’ha pure aperto gli occhi. Ciao e buona fortuna a voi!
Attorno a lui s’erano fermate alcune massaie che, avendolo sentito discorrere con le piante, temevano che fosse ammalato e in preda ad allucinazioni febbrili, ma Pinocchio fece loro una boccaccia e se ne corse via ridendo. Fu solo quando fu vicino a casa che rallentò il passo, perché temeva di ricevere brutte notizie e voleva prepararsi al peggio.
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