Le verità di Pinocchio

Le verità di Pinocchio

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Sedicesima puntata

 

Per Pinocchio era inconcepibile l’esistenza di qualcuno che ne sapesse più della sua Fata, ma si astenne dall’esprimere a voce alta i suoi dubbi. Quelle parole, invece di infondergli coraggio e confortarlo avevano raggiunto l’effetto opposto. Se nemmeno la Fata aveva il potere di guarire Geppetto, chi allora avrebbe potuto farlo?
Il resto della giornata passò, e anche se tutti si mostravano indaffarati in banali faccende quotidiane, era evidente che la testa stava da tutta un’altra parte, ma evitarono comunque di tornare sull’argomento.
Poco prima dell’imbrunire la Fata si mise addosso un mantello e s’avviò verso la porta di casa.
– Allora io vado. Ci vediamo domattina. Non datevi pensiero per me.
Detto ciò, uscì, lasciando tutti di stucco, senza dar loro il tempo di chiedere, di informarsi, e nemmeno di salutare.
– Eh, caro Pinocchio, lei è fatta così – disse Mangiafoco. – Ogni tanto prende e se ne va nel bosco senza dare spiegazioni, e io ho accettato di buon grado questa sua stranezza. Vedrai che domattina ti porterà qualche buona notizia.
Invece l’indomani il mattino trascorse senza che lei tornasse, e anche se Mangiafoco non diceva nulla e tentava di mostrarsi tranquillo i suoi gesti lo tradivano, come quel suo andare ripetutamente alla finestra, l’attenzione esagerata che metteva nello svolgimento operazioni anche minime, il guardare e riguardare un quadro o un angolo della stanza, nonché l’onta di aver bruciacchiato il pranzo. Anche Pinocchio e Alidoro non avevano cuore di assillarlo con domande per le quali non aveva una risposta, perciò andarono a fare un giretto nei pressi, sempre tenendo d’occhio il sentiero nella speranza di vedere fin da lontano la figura della Fata che s’avvicinava.
Quando rientrarono Mangiafoco stava accendendo un lume a petrolio.
– Niente? – chiese Pinocchio.
– Ancora no, ma non preoccuparti, torna, torna.
Fu una cena abbastanza triste. Nessuno aveva voglia di parlare, e le poche parole che si scambiarono si spegnevano nel silenzio che colmava quelle quattro pareti, come se l’assenza di una sola persona avesse reso vuota tutta la casa.
Al momento di salire di sopra Pinocchio non si trattenne più.
– Senti Mangiafoco, volevo dire Enore, ho paura che le sia successo qualcosa, e per di più a causa mia.
– Ma cosa vai a pensare, sciocco! – gli rispose quello.
Alidoro si sentì in dovere di intervenire.
– Se volete ci vado io a cercarla. Il mio naso non sbaglia mai, e sono certo che una pista la trovo anche al buio.
Mangiafoco fece una carezza sulla testa del cane, e poi accompagnò di sopra Pinocchio.
– Ma che andate a pensare, forse che è la prima volta che passa le notti fuori? – disse con un tono di voce fin troppo deciso. – Su, andiamo a dormire. Lei sa sempre quello che fa, anzi lo sa meglio nel bosco che in casa. Fidatevi.
E così, sistemati Pinocchio e Alidoro, tornò dabbasso con la scusa di dover sparecchiare e riordinare la cucina, ma con nessunissima intenzione di andare poi a dormire anche lui. Era la prima volta che lei non tornava a casa per cena, e adesso era addirittura la seconda notte che avrebbe passato fuori, a fare cosa poi non si sa. Alzò la fiamma del lume al centro della stanza. Attraverso le finestre la luce sarebbe stata visibile per un bel tratto, e lui di certo non si sarebbe addormentato.
Non era nemmeno l’alba dell’alba che Pinocchio venne svegliato da Mangiafoco.
– Presto, vieni giù, subito.
Anche Alidoro s’era già svegliato, e ben prima che qualcuno salisse su per le scale, ma era rimasto accanto al letto del suo amico in attesa degli eventi. Non si sa mai…
Quando scesero trovarono la Fata ad attenderli.
– Sei tornata! – esclamò Pinocchio correndo ad abbracciarla, e anche il cane le girava attorno scodinzolando a più non posso.
– Perdonatemi se vi ho fatto stare in ansia, forse avrei dovuto avvertirvi che sarei rimasta fuori – rispose.
– Ma no, che dici, Enore c’ha rassicurato su fatto che può succedere, e che non c’era motivo di preoccuparsi.
– Ah, meglio così allora – fu il commento della Fata. – Per fortuna c’era Enore, vero?
Lui apparve sulla porta che dava in cucina mostrando un sorriso imbarazzato.
– Io, beh, sì, ero tranquillo, insomma, non mi pareva il caso di…
Se non ci fossero stati i due ospiti la discussione sarebbe stata di ben altro tenore, con lui che l’accusa di insensibilità e avventatezza, e lei che si sente offesa per l’assenza di fiducia e per il tentativo maldestro di limitare la sua libertà d’azione. Probabilmente qualche piatto di cotto ne avrebbe fatto le spese, ma prima dell’imbrunire sarebbe tornata la pace. Era sempre così.
Superata l’emozione, Pinocchio si prese un attimo per osservare meglio la Fata. Anche se la luce era fioca si notavano i segni di una lunga permanenza nel bosco. Sulla veste, ora un po’ stazzonata, erano rimaste impigliate delle foglioline e dei rametti, come pure sul mantello che stava appoggiato sullo schienale di una seggiola. Nonostante avesse sicuramente tenuto sollevato il cappuccio, anche tra i capelli bianchissimi facevano capolino degli intrusi, e sotto a uno zigomo un paio di graffi dicevano che non era stata una passeggiata. Le sue scarpe avevano lasciato una coda di impronte fangose dalla porta al tavolo, anche se lei ora era scalza.
Era stanca, molto stanca, fu evidente da come cedette sulla sedia a lei più vicina. Probabilmente aveva dormito pochissimo e male, e camminato per miglia e miglia, ma non era ancora arrivato per lei il momento di riposarsi. Chiamò Pinocchio accanto a sé.
– Mi spiace, io non so come aiutare il tuo babbo, però forse ho trovato chi potrebbe farlo.
Se le prime parole pronunciate dalla Fata avevano gelato le speranze di tutti, la conclusione della frase, seppur con quel “forse”, contenevano una promessa, e a quella Pinocchio s’aggrappò.
– Chi è, come si chiama, dove la trovo questa persona? Dimmelo, ti prego.
– Come si chiama? E chi lo sa. Dove sta? Da qualche parte nel bosco, ma dove esattamente lo ignoro.
La risposta era ancora più deprimente della prima ammissione d’incapacità, e per Pinocchio si trattava una vera e propria tortura. Dunque da qualche parte esisteva una cura per il babbo, e lui ne era certo, la Fata non gli avrebbe mai mentito, ma non si sapeva come trovarla. Gli parve che il destino, ancora una volta, si stesse facendo beffe di lui.
– Dunque non c’è speranza? – chiese.
– Non ho detto questo – rispose lei. – Ho girato per i boschi per quasi due giorni, cercando inutilmente qualcuno o qualcosa che potesse aiutarmi. Fu solo quando la malattia di Geppetto smise di essere l’unica preoccupazione per far posto anche alla mia angoscia per la tua triste situazione che ricevetti un messaggio.
– Da chi?
– Da nessuno e da tutto.
Se qualcuno avesse soffiato sulla fiamma del lume per spegnerlo, il buio risultante nella stanza sarebbe stato accecante come il Sole rispetto a quello che calava nelle loro teste dopo quella risposta a dir poco enigmatica. La Fata s’accorse dello sconcerto che le sue parole avevano provocato, perciò pensò bene di spiegarsi meglio, anche se sapeva bene quanto ancora più indecifrabile sarebbe potuto risultare il messaggio.
– Vedi caro Pinocchio, a quanto pare qui ti conoscono.
– Io? Ma non sono mai stato da queste parti, lo giuro! – protestò lui, quasi la notorietà fosse una colpa. – E poi vorrei proprio sapere chi t’ha detto questo.
– La risposta è la stessa di prima, nessuno e tutto. Il messaggio che riguarda te l’ho ricevuto a brani, a pezzetti, a briciole, dagli animali del bosco, dalle piante, dalla terra, e forse persino dal vento. Non so spiegarmi come sia successo, e nemmeno come io sia riuscita a comprenderlo, però le istruzioni erano chiarissime.
Pinocchio, Alidoro ed Enore se ne stavano in silenzio aspettando il seguito, probabilmente stavano persino tenendo il fiato per paura di perdersi anche una sola sillaba. Dopo qualche attimo, la Fata proseguì.
– La cura per il tuo babbo devi cercarla tu, nel bosco.
Pinocchio aveva già dato dimostrazioni di coraggio, sangue freddo e forza d’animo, però gli si stava chiedendo di compiere un gesto che già per un uomo adulto sarebbe apparso temerario. Si sa che boschi e foreste sono sempre all’origine di incontri pericolosi, sventure e peripezie d’ogni sorta, perciò vi s’inoltra solamente chi sa evitare le sue trappole. Eppure lui non esitò neppure per un attimo.
– Va bene, ci vado. Dimmi dove.
– Dove, dove, non lo so dove. C’è chi ti indicherà la strada, e tu dovrai confidare in quella guida ovunque essa ti porti. Sei sicuro di volerlo fare?
– Sì.
La Fata sospirò. S’aspettava e temeva quella risposta, ma lei era solamente una messaggera, e la decisione spettava solamente a Pinocchio. Smise di guardarlo come se lui fosse ancora un ragazzino e gli si rivolse come si fa con un uomo, senza condiscendenza e con rispetto.
– Bene. Ai limiti del bosco dietro alla casa t’attende una volpe rossa, giusto ai piedi d’un grande olmo. Lei ti mostrerà la strada. Da quel che ho capito la strada da fare è tanta, perciò Enore t’ha preparato qualcosa per il viaggio, e ti regalo il mio mantello. Magari ti starà un po’ largo, ma ti terrà al caldo. E se vuoi andare devi partire ora.
– Adesso?
– Sì, non c’è tempo. Certe piste vanno percorse quando il Sole non s’è ancora levato.
– Ma… ma… io t’ho appena ritrovata, v’ho appena ritrovati, e invece devo andare via, scappare di notte come un ladro.
– Mi dispiace Pinocchio, è così.
Anche la Fata era triste. Pur sapendo della situazione di Geppetto, aveva provato assieme alla sorpresa per quella visita inaspettata i bei ricordi d’un tempo più leggero, senza voler contare la soddisfazione di vedere com’era diventato giudizioso Pinocchio, quasi un ometto, ma il messaggio era stato chiaro.
– Animo amico! – intervenne Alidoro. – Ci sarò io farti da scorta e da compagno di strada, e ricordati che non ho paura di niente e di nessuno.
– Mi spiace deluderti – gli disse la Fata. – Non potrai andare con lui.
– E perché mai?
– Non offenderti, ma gli esseri che vivono nel bosco mal sopportano la presenza dei cani, perché sono troppo vicini all’uomo, troppo simili all’uomo ormai. Lo so che difenderesti Pinocchio a costo della vita, ma se gli vuoi veramente bene devi lasciarlo andare da solo. Mi dispiace, per tutti e due.
Alidoro non disse niente, deluso, ma un po’ se l’aspettava. Lui aveva dato la caccia a malfattori d’ogni risma, era il suo lavoro, ma altri suoi simili cacciavano gli animali selvatici per conto dell’uomo, e talvolta capitava che quegli animali venissero uccisi per puro divertimento, dell’uomo ovviamente, e ciò non faceva che accrescere la cattiva fama dei cani.
Alidoro chinò la testa e si accucciò sul pavimento.
– E va bene. Ma lui non sarà in pericolo?
– No, non lo sarà, me l’hanno promesso – gli rispose la Fata.
– Ma chi…, ah sì, scusa, dimenticavo, nessuno e tutto – concluse Alidoro con aria sconsolata.
In quel momento Mangiafoco uscì dalla cucina con un fagotto in mano.
– Tieni Pinocchio, dovrebbe bastarti per un paio di giorni.
– Grazie Enore, sei sempre stato molto buono con me.
– Ma che dici, dimentichi forse che stavo per darti fuoco? Etcì! Etcì!
Ci fu qualche attimo di silenzio, poi la Fata prese Pinocchio se se lo mise di fronte per guardarlo bene in volto, come a voler trasmettergli qualcosa con lo sguardo.
– Senti, io non t’ho detto ancora tutto, e se poi deciderai di non partire nessuno te ne farà una colpa.
– Lo sapevo io che c’erano dei pericoli – commentò sottovoce il cane.
Pinocchio tacque. Già il fatto di inoltrarsi nel bosco di notte era una faccenda abbastanza preoccupante, e si chiese cos’altro di peggiore avrebbe dovuto indurlo a rinunciare.
– Nel bosco hanno parlato di un viaggio verso la verità, perché solamente la verità potrebbe guarire Geppetto. Però la verità ti porterà dolore, molto dolore, e se tu non saprai accettarlo sarà tutto inutile.
– Io non ho paura del dolore, mi son fatto male tante volte – rispose Pinocchio con sguardo di sfida.
– Non si tratta di quel dolore, si tratta di qualcosa che ti rimane dentro, che brucia come un’offesa imperdonabile e terribile. Tu ancora non ne sei consapevole, ma solamente quando si farà sentire potrai comprendere come guarire il tuo babbo, e non solo lui. Bada però che non troverai nel bosco la medicina che cerchi, sta da in un altro luogo, dove esattamente non l’ho capito, ma è molto lontano da qui, e non è detto che tu riesca a tornare. Questo è quanto hanno detto, e adesso spetta a te decidere.
Dunque stavano così le cose, pensò Pinocchio, doveva andare nel bosco di notte, cercare qualcosa che non sapeva cosa fosse in un posto sconosciuto, provare un forte dolore nell’animo, sperare di capire come guarire il babbo, e poi ripartire subito per un lungo viaggio lontano da casa. C’era di che scoraggiarsi. Poi pensò alla sua vita da burattino, ai piedi in fiamme, alla prigione, all’albero dove l’avevano impiccato, al teatrino delle marionette, al Paese dei balocchi, alla sua vita da ciuco, alla compagnia di pagliacci e saltimbanchi, alla pietra al collo, alla frittura del pescatore, alla tagliola, alla cuccia del cane, alle faine, al pesce-cane, a tutte le disavventure e gli ostacoli che aveva già dovuto superare, e allora la paura se ne volò via, spazzata dai venti della speranza e del carattere.
– Ci vado, non c’è scelta.
La Fata era orgogliosa e triste nello stesso tempo, ma si guardò bene dal far trasparire le sue emozioni per paura di fargli cambiare idea. Anche Mangiafoco ora lo guardava col rispetto che è dovuto a chi s’appresta a compiere un’impresa apparentemente superiore alle sue forze. Alidoro lo annusava, sperando di catturare l’odore del coraggio, per riconoscerlo e farlo proprio.
– Allora… – attaccò Pinocchio.
– Allora? – chiese la Fata.
– Se devo andare così lontano come ha detto il bosco, potrebbe succedere che non torni più qui.
– Potrebbe – confermò lei.
– Allora questo sarebbe un addio.
– Non è detto, non è detto, nella vita non si sa mai. Vedi bene che è sempre piena di sorprese – disse Mangiafoco, cercando di stemperare la tristezza di quella partenza.
– Hai ragione Mangiafo… Enore, staremo a vedere. E tu Alidoro, che intenzioni hai?
– Mah, se loro mi vogliono io rimarrei volentieri qui. In fondo una casa ha sempre bisogno di un fedele cane da guardia.
– Che dite, può restare qui come cane da guardia? – chiese Pinocchio.
– Assolutamente no – rispose la Fata. – Lui rimarrà qui come uno di famiglia.
– Grazie. Però prima di partire dovrei chiederti ancora un favore.
– Dimmi Pinocchio.
– Sai, anche se sarò lontano io cercherò sempre di farti avere mie notizie, e ovviamente di sapere come state. Un modo lo troverò.
– Ne sono più che certa.
– Però adesso non sei più solamente la mia Fata, ora ti conosco un po’ meglio di quand’ero un burattino, e so che un tempo ci saranno stati per te un papà e una mamma.
– Sì, è così.
– Allora io vorrei ricordarmi di te come un’amica, non come la Fata d’un pupazzo di legno. Se puoi, se vuoi, dimmi come ti chiamavano loro.
La Fata sorrise. Non lo faceva spesso, e mai senza una buona ragione, ma stavolta non c’era modo di resistere.
– Sta bene, ti dirò il mio nome.

 

Continua…

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