Le verità di Pinocchio

Le verità di Pinocchio

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Decima puntata

 

Pinocchio si girò e guardò per un attimo il muro di alberi dal quale era appena uscito. Ora che l’aveva attraversato non gli faceva paura, e gli scappò un sorriso quando ripensò al bonario rimbrotto col quale il grillo lo aveva incoraggiato. Ma non c’era tempo per gongolare, il pomeriggio avanzava e lui aveva ancora due compiti da svolgere, il primo era cercare qualcosa o qualcuno in grado di aiutare il babbo, e il secondo era andare a chiedere ospitalità per la notte. Anche se non possedeva un orologio si rendeva ben conto che non sarebbe riuscito a tornare a casa prima che scendesse la sera, perciò proseguì di buon passo lungo il sentiero, del resto l’unico che si allontanava dalla Foresta. Il panorama non rappresentava una novità, dolci colline sulle quali erano stesi dei vigneti oppure si ergevano i tormentati olivi. Purtroppo in quella stagione l’uva era ancora acerba, perciò non c’era modo di risolvere il terzo problema che stava crescendo nella pancia di Pinocchio, e l’eventualità di trovare presto un rifugio si trasformò ben presto in una primaria necessità.
Finalmente, appena superato il colmo di un colle, scorse a valle un piccolo villaggio che fiancheggiava sui due lati il sentiero. Si mise a correre, rischiando un paio di volte di ruzzolare per la foga, e si arrestò davanti alle porte del paesino dove campeggiava questo cartello: “Benvenuti a Borgobello”.
In effetti, guardando le abitazioni, era veramente un bel vedere, e Pinocchio camminava tra quelle quasi intimorito; mai gli era capitato di vedere in paese tutta quella cura per l’aspetto di una casa, tanto più per un villaggio di campagna. Le facciate erano perfettamente tinteggiate, ogni finestra sfoggiava un’inglesina di vetri bisellati, e davanti a ogni davanzale c’erano dei vasi dai quali spuntavano fiori a profusione. Avrebbe voluto sbirciare dentro, per curiosità infantile, questo è ovvio, ma anche per farsi un’idea su chi ci viveva in quelle splendide casette, una saggia precauzione quando si avvicinano degli sconosciuti, ma purtroppo dietro a quei lucidissimi vetri c’erano delle candide tendine ricamate che nulla facevano intravedere della stanza.
Pinocchio allora prese coraggio e si avvicinò alla porta d’ingresso di una casa, apprezzando il suo legno nobile verniciato – in fondo lui era figlio di un falegname, le essenze le conosceva – e bussò con decisione.
Nessuno venne ad aprire.
Bussò di nuovo.
Niente.
Allora afferrò la maniglia di ottone e provò a girarla. La porta non era chiusa a chiave, perciò si scostò subito dal battente di quel tanto che sarebbe bastato ber buttare una voce all’interno.
– Ehm… permesso. C’è nessuno?
Silenzio.
Pinocchio si avvicinò di più alla porta e diede maggior forza alla sua voce.
– Scusate, c’è nessuno in casa? Posso entrare?
Stesso risultato di prima: nessuna risposta.
A quel punto rimanevano due scelte, andarsene o insistere, e Pinocchio non era tipo da mollare così facilmente, perciò spalancò la porta, ma quel che vide lo lasciò letteralmente senza fiato: tanto era curata la casa all’esterno, tanto era squallida e malmessa all’interno.
Poca luce filtrava dalle finestre sulla facciata, e altre pareva che non ce ne fossero, però era sufficiente per osservare lo sfacelo di quella stanza: sedie spaiate e malconce, armadi con ante semiaperte o penzolanti, un tavolo che aveva visto tempi molto migliori sul quale campeggiava un lume a petrolio, e nonostante l’odore di chiuso e di muffa, dal puzzo si capiva che il suo serbatoio perdeva; polvere e ragnatele completavano il desolante quadro.
– Ma tu guarda, proprio una casa abbandonata dovevo scegliere – commentò Pinocchio nell’uscire da quella stamberga. Per educazione badò bene di chiudere la porta d’ingresso, quindi prese un bel vialetto di ghiaia per andare a bussare presso una casa ancora più carina della precedente.
Che ci crediate o no, il risultato fu identico all’esperienza precedente, stanze vuote e inospitali, suppellettili in uno stato miserevole, incuria e lerciume in ogni dove, l’esatto opposto di ciò che appariva all’esterno.
– Non può essere – si disse Pinocchio, sconcertato da tanta miseria.
Non era ancora il momento di scoraggiarsi, perciò quando, al terzo tentativo, ottenne lo stesso risultato dei due precedenti decise di indagare su questo mistero. Era sicuro che in paese ci fosse qualcuno, ogni tanto si sentivano dei rumori, delle voci, persino degli odori che però faticava a distinguere.
Pinocchio tornò sul sentiero e ammirò ancora una volta la sfilata di casette coloratissime e, all’apparenza, accoglienti, per poi infilarsi nello spazio tra due di quelle. Era largo poco più di un vicolo, con poca luce, però quella bastava per notare come le pareti laterali delle case fossero disadorne e malmesse come ciò che si trovava all’interno, e dopo circa una ventina di passi finalmente scovò gli abitanti di quel bizzarro villaggio.
Stavano sul retro delle loro case, di qua e di là, grandi e piccini, chi in piedi e chi seduto su un rudimentale sgabello, ma tutti vestiti in maniera sommaria, essenziale, quel minimo che bastava per non prendere freddo. Non badarono a Pinocchio, e anche se era impossibile che non l’avessero notato fecero deliberatamente mostra di ignorarlo. Le stranezze non finivano lì, infatti tutti, tranne i troppo piccoli per tenere in mano un attrezzo, erano indaffarati in qualche lavoro, e lo facevano in silenzio o bisbigliando, come se fossero dei ladri che stanno svaligiando una casa.
Pinocchio stette a osservarli per un po’ cercando di capire i motivi di quel bizzarro comportamento, che poi, tenendo conto delle assurdità che aveva già visto, troppo stravagante non sarebbe dovuto apparire. Però voleva capire, anche a costo di fare la figura del ficcanaso.
– Scusate, ma che state facendo?
– Sssst – gli rispose una donna.
Allora andò accanto alla famiglia più vicina per sussurrare la stessa domanda.
– Cosa fate tutti qui dietro? E anche gli altri, perché lavorano nel cortile del retro invece di stare nelle loro case?
Quello che poteva essere il capofamiglia si rizzò sulla schiena e diede un’occhiata di sghembo alla casa accanto.
– Gli altri, gli altri, così lavorano anche gli altri? Ah, ma la vedremo…
Ora che si era avvicinato a loro, Pinocchio si rese conto di cosa stavano facendo. C’era chi montava i pezzi di un’imposta, chi verniciava il telaio di una finestra, chi dipingeva alcune decorazioni, chi trapiantava bulbi floreali, chi lucidava delle cerniere in ottone, insomma tutta una serie di lavori ai quali si applicavano con dedizione, però con una riservatezza esagerata per quel genere di attività, come se temessero di essere spiati.
L’uomo si sentì in dovere di chiarire la faccenda a beneficio dello sbigottito visitatore.
– La nostra casa è la più bella del paese, ma gli altri ci copiano, hai visto bene che ci copiano, quegli invidiosi!
– Tutte le case sembrano belle, però…
– Sembrano, hai detto bene. Però tu guardali, non ci sanno fare, han lasciato andare in malora tutto per far vedere che anche loro hanno una casa bellina come la nostra.
– E poi?
– Poi abbiamo aspettato che finissero e dopo abbiamo resa ancor più graziosa la nostra casa, costi quel che costi.
– E loro?
– Loro si sono indebitati fino al collo per arrivare al nostro livello, e adesso noi li supereremo di nuovo.
– Scusate, non ha senso. Le vostre case son belle solamente davanti, e dentro non ci si vive!
– Ma chi ha voglia e tempo d’andarci? Noi dobbiamo lavorare qui dietro, tutti, altrimenti perderemmo la faccia.
A Pinocchio quei ragionamenti facevano girare la testa. Ne aveva già incontrati di matti, ma questi li superavano di molte lunghezze.
L’uomo suppose di essersi spiegato quanto basta, perciò si chinò e tornò al lavoro che stava facendo prima di venire interrotto, una graziosa casetta per gli uccellini, e per buona misura pensò bene di congedare quel ragazzino troppo curioso.
– Vai, vai, che qui abbiamo da fare, ma ricordati di raccontare a tutti che, grazie a me, Borgobello è veramente incantevole.
Pinocchio non se lo fece ripetere e si allontanò senza indugio. Temeva che qualcuno di quei mentecatti lo costringesse a rimanere lì, a lavorare in quella rincorsa a chi è più insensato, perciò prese il sentiero e uscì dal paese, voltandosi indietro solo dopo aver superato l’ultima casa, davanti alla quale c’era il cartello “Benvenuti a Borgobello”.

Continua…

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