– Uh, dovevano essere terribili, spaventosi!
Mentre diceva questo, Myla strinse di più la mano della sua insegnante. Era una bambina intelligente, la prima della sua classe, ma per lo stesso motivo era anche abbastanza sensibile; la sua fervida immaginazione talvolta la sopraffaceva trasformando un semplice oggetto di studio in una realtà immanente (anche se lei ancora ignorava il significato di quel termine).
La scuola aveva organizzato quella visita al Museo di Storia Naturale, nella giusta supposizione che vedere una cosa con i propri occhi fosse molto più interessante che scorrere le immagini su un visore olografico, e anche se quel museo in particolare non era sicuramente all’altezza delle esposizioni più famose, c’era comunque molto materiale interessante.
Mentre le altre classi sciamavano lungo i corridoi e si inoltravano nelle varie sale 3D interattive, Myla aveva preferito restare con la sua insegnante preferita, la quale, mossa da un entusiasmo tipicamente giovanile, aveva accettato di buon grado il ruolo di guida. La bambina lasciava ben sperare, e un giorno quell’educatrice sarebbe stata orgogliosa di averla aiutata a muovere i primi passi nel mondo della scienza.
Come in tutti i musei simili, la parte più interessante riguardava gli animali estinti; c’erano le ossa, alcuni scheletri, e ovviamente anche delle riproduzioni complete, ipotetiche questo è vero, ma che comunque si basavano su studi accurati dei laboratori di anatomia comparata e paleontologia.
Si fermarono davanti a un’alta bacheca che racchiudeva uno scheletro quasi totale. Myla lo fissò, leggermente intimorita dalle dimensioni di quell’essere.
– Perché le sue ossa sono così grosse?
L’insegnante ci pensò su, non aveva la risposta pronta, e del resto la sua materia era la geografia, perciò si aiutò col testo illustrativo accanto alla bacheca.
– Perché erano più pesanti, perciò la loro struttura era massiccia. E poi dovevano resistere agli urti durante il combattimento. Erano animali molto violenti.
– E perché erano violenti?
Domanda difficile, come tutte quelle che faceva Myla del resto. L’insegnante sospirò e cercò una ciambella di salvataggio nella nota esplicativa. Niente. Le toccò improvvisare.
– Perché tutto il loro mondo era basato sulla violenza, il più forte vinceva, il più debole periva. Non puoi immaginare quanto fosse brutale e pericoloso quel mondo.
– Oh sì, invece posso immaginarlo, avevano sempre paura vero?
– Brava Myla, hai ragione, vivevano nella paura, era la loro arma.
Al centro della sala successiva era posta una riproduzione drammatica della lotta tra due di quegli esseri mostruosi. I curatori del museo, pur nella necessità di affidarsi a mere ipotesi, avevano fatto comunque un ottimo lavoro; negli occhi di quelle bestie, ancorché offuscati dall’ottusità, vi si intravedevano allo stesso tempo la furia distruttiva e il terrore; solo uno dei due sarebbe sopravvissuto, questo pareva essere il pensiero, se di pensiero si può parlare, delle due bestie, e vi dedicavano tutta la loro ferocia.
Myla si soffermò a lungo dinanzi a quella scena forse fin troppo impressionante. C’era chi aveva mosso delle critiche trovandola inadatta, teatrale, gratuita, ma il museo restò fermo nelle sue posizioni ribadendo la necessità di offrire un’immagine abbastanza fedele del passato.
– Mi scusi, ma perché lottavano?
Perché, perché, perché, sempre quei perché.
– Perché… non si sa, forse per il territorio, forse per il cibo, o magari solo perché erano così, per istinto, qua non lo dice.
– Erano sempre così cattivi?
– No Myla, penso di no. Si suppone che questi animali, quando non erano provocati, non mostrassero sempre aggressività, ma la loro struttura fisica sta a dimostrare che erano fatti per combattere, perciò è probabile che avessero sviluppato un pessimo carattere.
– Orribile direi.
Sulle pareti della sala erano disposti degli ologrammi che riproducevano in scala ridotta altri esemplari della stessa specie di quelli al centro; Myla li volle vedere tutti, anche se tutto sommato erano abbastanza simili tra loro. L’insegnante si astenne dal farle fretta; era raro che una bambina della sua età provasse tanto interesse verso la scienza; tra qualche anno sarebbe stato naturale, ma ora si poteva definirla veramente precoce.
Myla si volse verso la sua insegnante.
– Ma erano veramente tutti così brutti questi esseri?
– Non saprei, suppongo di sì. Di belli non se ne sono trovati finora.
– E ce n’erano anche di peggiori bambina mia.
Chi aveva parlato era una guida ufficiale del museo, una donna di mezza età che era apparsa accanto all’ingresso della sala successiva. L’insegnante ne fu sollevata. Finalmente un’esperta, una paleontologa di sicuro, che avrebbe soddisfatto l’inesauribile curiosità di Myla.
– Come di peggiori? Peggio di così?
– Certo. Queste sono riproduzioni idealizzate, standard, ma i nostri studi hanno dimostrato la presenza di deformità e di difetti fisici su quasi tutti gli esemplari che abbiamo trovato finora.
L’insegnante ritenne necessario intervenire per smorzare l’impatto psicologico che quell’affermazione così cruda avrebbe potuto sortire sulla bambina.
– Ma non è possibile che ciò dipenda esclusivamente dalla loro fine, diciamo… violenta?
– No, no, mi creda, le ferite della lotta le sappiamo riconoscere bene ormai. Quelli erano animali veramente brutti. Brutti e cattivi. Ma non basta.
– Ah no?
– No. Quello che vi sto per dire non lo troverete ancora nel vostro materiale didattico. Sapete, sono ancora ipotesi, ma ipotesi abbastanza fondate, e siccome il nostro museo ha partecipato a qualcuna di quelle ricerche… diciamo che vi regalo una notizia in anteprima.
La guida si avvicinò a uno degli ologrammi più completi, quindi fece segno al Myla e all’insegnante di avvicinarsi.
– Vedete questo particolare esemplare? Bene, di questo non abbiamo trovato solo le ossa, ma anche campioni di tessuti, fino alla pelle. Il freddo e un terreno nel quale l’ossigeno era quasi assente hanno contribuito alla conservazione di ciò che fino a qualche anno fa potevamo soltanto ipotizzare. Quel che vedete qui è assolutamente provvisorio.
Myla, anche se non comprendeva tutti i termini della conversazione, intuì che la guida stava spiegando qualcosa di estremamente interessante.
– Allora, cosa avete trovato? Non era come gli altri della sua specie?
– Tutt’altro cara. Grazie a quell’esemplare possiamo sapere qualcosa di più su com’erano veramente tutti gli altri della sua specie, e suppongo che dovremo rivedere parecchie delle nostre riproduzioni.
– E com’erano? – chiese la bambina, eccitata dall’aspettativa di una novità a lei riservata.
– Tanto per cominciare, non avevano la pelle liscia, cioè non come la nostra.
– Beh, questo era facile capirlo. Lottavano sempre.
– Vero, però abbiamo scoperto che avevano anche un mucchio di peli, tutto il corpo ne era ricoperto, forse contro il freddo, anche se…
– Peli? Volete dire come i capelli?
– No, più corti, erano proprio peli, ma c’è di più. Dall’esame dello strato di epidermide rimasto abbiamo avuto la certezza su qualcosa che finora era solamente una mera congettura: dovevano puzzare orribilmente.
– Che schifo! – esclamò Myra.
– Puoi dirlo forte ragazza mia.
La guida si rivolse allora all’insegnante.
– Mi scusi se forse sono stata troppo diretta o invadente; è da un po’ che vi sto tenendo d’occhio e mi è parso che questa bimba sia abbastanza sveglia, direi addirittura promettente.
– Lo è. Myla è la nostra alunna migliore.
Sentendosi chiamata in causa Myla colse al volo l’occasione per un’altra domanda.
– Ma perché si sono estinti?
– Non ne abbiamo la certezza. L’affascinante ipotesi di un cataclisma cosmico è ormai superata, non ci sono prove. C’è chi afferma che si siano autodistrutti a causa della loro stessa aggressività, ma i modelli matematici smentiscono questa possibilità, almeno su scala planetaria. Magari la causa della loro estinzione va cercata proprio nella loro discutibile caratteristica: la potenza; erano grossi, erano forti, estremamente competitivi, erano ingordi, e infine il pianeta non li ha retti più negando loro le risorse per sopravvivere; probabilmente non si sono adattati alle nuove condizioni di vita, hanno continuato a basare la loro sopravvivenza sulla lotta. Loro hanno perso e l’evoluzione ha vinto. Per nostra fortuna.
Myla riflettè per qualche secondo. Era una gioia per gli occhi guardarla mente faceva andare a mille la sua mente ancora acerba.
– Eh sì, è stata una fortuna, doveva essere un mondo veramente invivibile per noi.
– Questo non è del tutto vero.
– Come ha detto scusi?
– È così. Per un certo periodo di tempo noi e loro abbiamo condiviso il pianeta. Dev’essere stata un’era terribile, buia, nella quale eravamo preda di questi animali più forti di noi, e di quel periodo ci rimangono solamente delle figure mitologiche e alcune leggende che ogni tanto tornano di moda. Oltre a questi esemplari, è ovvio.
– Ma quanto tempo fa è successo?
– Fino a trenta, quarantamila anni fa, – intervenne l’insegnante. – Però tranquillizzati… Myla, questi mostri sono andati, finiti, spariti, tutti quanti, e non torneranno mai più.
Myla si volse di nuovo verso l’ologramma e lesse la targhetta esplicativa: “Maschio – Nordico – Età stimata: 20 anni – Mancante della mano sinistra e del piede destro – Causa della morte: sfondamento del cranio causata da proiettile metallico – Stato di conservazione: ottimo”.
(N.d.A)
Immagino che si sarà capito perché ho inserito proprio oggi nel blog questo racconto. Magari qualcuno potrebbe considerarlo una sgradevole distopia, magari invece per qualcuna non sarebbe la fine del mondo, o forse sì, sarebbe la fine di un opprimente mondo misogino e testosteroneo.
Sta a noi XY a fare in modo che ciò che ho scritto non abbia valore profetico, e lo si può fare solamente prendendo una posizione decisa, buttandosi perinde ac cadaver su quel piatto della bilancia che per secoli è stato mantenuto leggero e ininfluente. Lasciate perdere le belle parole, se dette si perderanno nel vento, se scritte non verranno lette. Smettetela di cercare assoluzioni sociali, il rispetto è un atteggiamento ipocrita, e il riconoscimento di parità è inadeguato alla reiterazione del crimine. Dateci un taglio alle celebrazioni, alle quote, alle promesse, alla retorica da ricorrenza, sono manifestazioni di rammarico per le ingiustizie future delle quali non sappiamo, o vogliamo, fare a meno.
Per sanare tante e tali soperchierie non serve, come troppi temono, tendere al femminile, è più che sufficiente ammettere che femminilità non è debolezza, è forza, e che pretendere sempre dalla donna una scelta, quella se vincere con il cervello o con la coscia, è un trattamento indegno, un trattamento da schiavi, da bestie.
Siete avvertiti.
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