Come ogni 8 marzo, mi tocca riproporre questo mio, e putroppo ancora attuale, post del 2012.
Non so che giorno sia oggi.
So che domani sarà l’otto marzo, e dopodomani pure. Ma guarda, anche ieri era l’otto marzo, e l’altroieri, e pure il giorno prima! Certo che il mio calendario è ben strano…
Aspetta, aspetta, forse ho capito che giorno è oggi. È il giorno delle frasi fatte, dei luoghi comuni, dei buoni propositi, dei sorrisi condiscendenti, delle melensaggini un tanto al chilo, degli auguri ipocriti, delle vacue celebrazioni, delle romanticherie da rotocalco, delle calcolate sviolinature, della mendacia e di una finta libertà, quella di scegliere ciò che le convenzioni suggeriscono, ovvero come tenere per un giorno un paio di occhiali dalle lenti rosa, per vedere il mondo di un colore che non c’è.
Stamane, per radio, ho sentito un sedicente esperto affermare che, in confronto alla civiltà (si fa per dire) occidentale, in quella cinese, già millenni fa, il femminino era sacro. In Cina? Dove le neonate venivano abbandonate nei boschi e lasciate morire? Ma cos’altro sarebbe disposto a dire oggi per blandire il pubblico femminile, che anche nell’Islam le donne sono sacre? Bah.
Bipedi implumi di sesso maschile, volete fare un regalo alle donne? Lasciate in pace quelle povere mimose, evitate i sorrisini e i complimenti, cancellatevi dalla faccia quella fasulla espressione di generosa solidarietà, risparmiatevi di considerare questo giorno come una gentile concessione, non è una festa comandata, non è l’ultimo di carnevale, non è “l’ora d’aria”, invece è, e sempre dovrebbe essere, un giorno come un altro.
Se oggi volete proprio fare qualcosa di straordinario vi do un suggerimento: per una volta, almeno una, ascoltatele, e cercate di capire. Chissà che poi non diventi un’abitudine.